5. Matematica e filosofia della matematica

Come altri studiosi, per esempio Kripke, Putnam arrivò alla Filosofia dalla Matematica, alla quale diede, nei tardi anni Cinquanta, un contributo importante con una dimostrazione, elaborata assieme a Martin Davis e a Julia Robinson, dell’insolubilità del decimo problema di Hilbert, che fu poi completata nel 1970 da Yuri Matiyasevich. Tale problema consisteva nel chiedersi se fosse possibile trovare un algoritmo generale in grado di stabilire se un’equazione diofantea (cioè un’equazione polinomiale, in una o più incognite e con coefficienti interi) ha soluzioni intere. Il risultato finale di Matiyasevich, confluito nell’omonimo teorema, implica che il decimo problema è irrisolvibile, ossia che l’algoritmo non termina mai, e che le soluzioni delle equazioni diofantee possono crescere esponenzialmente. Questo è sufficiente, secondo il lavoro di Robinson, Davis e Putnam sugli insiemi ricorsivamente enumerabili (chiamato, includendo il teorema di Matiyasevich, teorema MRDP), a mostrare che ci sono equazioni diofantee che non possono essere risolte da alcun algoritmo.

Negli anni Sessanta Putnam contribuì sia alla teoria della computabilità – investigando, in particolare, la struttura della gerarchia analitica ramificata, e le sue connessioni con la gerarchia costruibile – sia all’informatica, in particolare sviluppando, nel 1960, sempre con Martin Davis, il cosiddetto algoritmo di Davis-Putnam allo scopo di verificare la soddisfacibilità booleana di formule di logica proposizionale. Tale algoritmo fu più tardi, nel 1962, perfezionato con altri collaboratori, confluendo nell’algoritmo DPLL (Davis-Putnam-Logemann-Loveland), ancora oggi alla base delle soluzioni del problema della soddisfacibilità.

Anche la Filosofia della Matematica ha visto l’attento interesse di Putnam, in particolare, nei primi anni delle sue ricerche, riguardo alla natura delle verità matematiche e logiche. Anche in questo campo il suo è un approccio realista, che comunque rifiuta il realismo platonico, che egli trova obsoleto (la Fisica del ventesimo secolo l’ha reso tale) e inaccettabile, in quanto portatore di quel tipo di conoscenza a priori che egli respinge. Putnam rifiuta anche il convenzionalismo, considerato, nella logica, vuoto, nel senso che le convenzioni non possono fondare la Logica poiché la Logica stessa è necessaria per la loro applicazione.

Secondo il realismo di Putnam in Matematica ha senso parlare di verità e falsità, e gli enunciati possono essere veri o falsi a prescindere dalle nostre capacità cognitive perché c’è un “qualcosa” “dietro” ai termini che essa usa che appunto rende i suoi enunciati veri o falsi. Ciò non comporta, però, che ci sia una realtà matematica oltre a quella materiale (si veda Putnam 1975e). Per esempio: un insieme non esiste per suo conto, ma la sua esistenza è funzione dell’esistenza degli elementi che contiene, i soli a esistere effettivamente, quindi l’esistenza degli oggetti della Matematica pura – quali insiemi, funzioni, ecc. – in un certo senso dipende dall’esistenza degli oggetti materiali. Il punto è che per Putnam le asserzioni della Matematica sono modali, cioè parlano di possibilità e di impossibilità di certi oggetti, non tanto del loro comportamento in quanto oggetti esistenti: “La Matematica è essenzialmente modale piuttosto che esistenziale” (Putnam 1975e, p. 70). Così la posizione realista di Putnam non coincide con quella realista “tradizionale”, che guarda alla Matematica come allo studio di oggetti “speciali”, piuttosto essa è lo studio di “possibilità astratte”, lo studio cioè di quali strutture sono, o non sono, astrattamente possibili.

È importante sottolineare, però, che per Putnam la conoscenza fornita dalla Matematica non è una conoscenza a priori, né l’oggettività della Matematica risiede nel credere negli oggetti matematici come realtà incondizionate e non fisiche. Al contrario, egli crede che la conoscenza matematica non sia assoluta e incorreggibile, ma che somigli a quella empirica: la Matematica, come la Fisica e le altre scienze empiriche, usa sia strette dimostrazioni logiche ma anche metodi “quasi empirici”, quindi il criterio di verità della Matematica e il concetto di necessità Logica non sono interamente immuni da revisioni empiriche, come per esempio avrebbe dimostrato la meccanica quantistica spingendo a un rifiuto della Logica classica, ma dipendono dal successo delle nostre idee nella pratica. Comunque, come afferma Putnam, “la cosa importante è che il matematico stia studiando qualcosa di oggettivo, anche se non sta studiando una ‘realtà’ incondizionata di cose non-materiali, e che il fisico che enuncia una legge di natura con l’aiuto delle formule matematiche stia astraendo una caratteristica reale di un mondo materiale reale, anche se egli deve parlare di numeri, vettori, tensori, funzioni di stato, o di qualsiasi altra cosa necessaria alla realizzazione dell’astrazione” (Putnam 1975e, p. 60).

Un importante argomento elaborato da Putnam, insieme a W. V. Quine, a favore del realismo in filosofia della matematica è la cosiddetta tesi dell’indispensabilità di Quine-Putnam, un argomento a sostegno della realtà delle entità matematiche ottenuto come conclusione metafisica ricavabile da un fatto non certo controverso: l’applicabilità, di innegabile successo, della Matematica alle scienze empiriche. Due sono le premesse: (a) le entità matematiche sono indispensabili alle nostre migliori teorie scientifiche; (b) si deve credere alla realtà di tutte le entità, e solo di quelle, indispensabili alle nostre migliori teorie scientifiche (se vogliamo credere alla realtà dei fenomeni descritti dalle scienze). E la conclusione per l’appunto è: si deve credere alla realtà delle entità matematiche.

Ovviamente è la premessa (b) a dare più grattacapi nella giustificazione di quel “tutte” e del “solo”. Riguardo a quest’ultimo, Quine e Putnam giustificano l’esclusione di quelle entità non-scientifiche sulle basi del naturalismo, la posizione, cioè, che guarda al metodo scientifico come al metodo migliore per giudicare le verità delle nostre conoscenze, senza difendere una “filosofia prima”, e senza nemmeno intendere, però, che la scienza sia sempre nel giusto, considerandola anzi criticabile dall’impresa filosofica che in tal modo diviene “continua” con quella scientifica. Riguardo al “tutte”, Putnam e Quine adottano una posizione detta olismo della conferma. In breve, essa sostiene che le teorie scientifiche possono essere confermate, o disconfermate, soltanto come un tutto, non pezzo per pezzo, ne consegue che se una teoria è confermata da risultati empirici, allora l’intera teoria lo è, inclusa la matematica che essa usa, e quindi non c’è alcuna giustificazione per escludere alcune entità della teoria. In altre parole, poiché le teorie scientifiche, in primis la Fisica, impiegano gli oggetti e i concetti della matematica pura, allora la miglior evidenza per l’esistenza di tali oggetti risiede nelle conferme che tali teorie, l’intera rete delle loro credenze, ricevono olisticamente dalle evidenze empiriche.