6. Archimede e l’infinito in atto

A conclusione, accenniamo ad alcune frasi di Archimede dalle quali vedremo che la sua posizione non tiene conto dell’ostracismo che Aristotele aveva assegnato all’infinito in atto [40]. Già nella prima proposizione del Metodo, l’opera che precorre il procedimento degli indivisibili di Cavalieri, Archimede mostra che, stabilendo una certa relazione tra le corde di due figure piane, si può passare a quella tra figure stesse “riempite” (è questo il vocabolo, come vedremo, usato da Archimede) da tali corde. Le due figure sono dunque “riempite” da una evidente infinità di segmenti (infinito in atto) e la relazione al finito (ma per ogni coppia corrispondente) si estende all’intero infinito in atto, cioè alle figure.

"Archimede di Siracusa" in un dipinto di Domenico Fetti (1620)

 

A questo punto – osserva Attilio Frajese [41] – Archimede concepisce l’idea di considerare una figura piana come composta da tutti i segmenti di retta (paralleli ad una certa direzione) che in essa possono tracciarsi” [42].

Ma ascoltiamo lo stesso Archimede. Nel corso della prima proposizione del Metodo, scrive: “E poiché il triangolo CFA consta delle [rette] tracciate nel triangolo CFA, mentre il segmento [parabolico] ABC consta delle rette tracciate similmente” [43]. Così nella seconda proposizione Archimede scrive nella sua dimostrazione: “riempito Dunque il cilindro dai cerchi assunti e [similmente] la sfera e il cono” [44]. Aristotele – sempre lui! – accennando e criticando la teoria pitagorica secondo la quale i numeri avrebbero dovuto comporre il corpo, sembra anticipare anche una smentita al metodo di Archimede: “Come dunque è possibile che una grandezza sia composta di indivisibili?” [45]. Basta mettere a punto una rigorosa teoria dei limiti e dell’integrazione – osserviamo noi – teoria che ha avuto un geniale precursore in Archimede, che aveva cominciato ad usare anche in Matematica l’infinito in atto, l’entelechia [46].