Civiltà delle Macchine, Leonardo Sinisgalli e Alan Turing

Alan Turing in un “Semaforo” di Civiltà delle Macchine

 

Sfogliando le pagine di Civiltà delle Macchine (CdM), la rivista aziendale della Finmeccanica, fondata nel 1953 dal poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli (e da lui diretta fino al 1958) ci siamo imbattuti nel seguente brevissimo “semaforo” (CdM, Luglio 1953, pag. 79).

Precisiamo subito che “Semaforo” è una rubrica redazionale che riporta brevi notizie, curiosità e precisazioni, collocata nelle ultime pagine di ogni fascicolo della nota rivista aziendale, famosa soprattutto per aver proposto articoli e lettere di rinomati autori con lo scopo di creare un sinergico confronto fra scrittori, poeti e pittori con il mondo dell'industria e della tecnologia, negli anni che portarono al miracolo economico italiano (1958-1963).

In occasione del centenario della nascita di Turing (1912-1954) ci è sembrato doveroso far notare che le ricerche che proprio in quegli anni Turing stava portando avanti sul tema dell'intelligenza artificiale, trovassero eco anche all'interno di una rivista aziendale, e proprio in relazione a uno degli aspetti più delicati, la possibilità che una macchina potesse arrivare a livelli di ragionamento intelligente, paragonabile a quello degli esseri umani. La cosa non ci meraviglia, dato che Sinisgalli fu uno dei maggiori sostenitori del progetto denominato (da lui stesso) “Adamo II”, il primo automa creato dalla scuola cibernetica italiana, guidata dal filosofo e linguista Silvio Ceccato. Lo racconta lo stesso Ceccato in occasione di un convegno del 1982 in onore dell'intellettuale lucano1:

L'idea m'era venuta in un soggiorno a Londra, nella primavera del 1953. Vi aveva contribuito anche un futuro premio Nobel, Dennis Gabor2. Si sorseggiava la nice cup of tea (buona tazza di tè3), in un locale di South Kensington. «Torno dagli Usa – mi diceva – danaro e macchine folgoreggiano. La sua analisi della mente mi sembra, forse per la prima volta, adatta alla costruzione di una macchina. Perché non prova?». […] Tornato in Italia, mi ricordai di un giovane ingegnere, che aveva lavorato per le catene di montaggio dell'Alfa e della Perugina … Era uno spirito curioso e fantasioso, critico e costruttivo insieme, divoratore di logica e di letteratura, Enrico Maretti4. Avremmo tentato l'impresa; ma i nostri soldi, e comunque i miei, erano davvero pochi.

Passando per Roma, qualche tempo dopo, ne parlai con il vecchio amico Leonardo Sinisgalli, una delle persone più vivaci di ingegno e più disponibili che avessi conosciuto, sin dai tempi della nostra vita goliardica a Milano. […] L'idea di una macchina «mentale» lo attrasse, forse perché un tanto di magica fantasia non dispiaceva nemmeno a lui. In quanto tempo? Con quanti soldi? La somma sarebbe stata sborsata da «Civiltà delle Macchine» […]. Purché non si superasse il milione […] Quanto ai tempi, si doveva lavorare abbastanza in fretta, perché la macchina sarebbe stata esposta ad una Mostra-Congresso dell'Automazione e automatismi, il primo dopo la guerra, nelle sale del Museo della Scienza e della Tecnica, Milano, nell'aprile del 19565.

È ben noto che Alan Mathison Turing (1912-1954), matematico e logico e crittografo, è considerato uno dei maggiori matematici del Novecento e uno dei padri dell'Informatica e, per quel che interessa qui, dell'Intelligenza artificiale. In quest'ultimo campo deve la sua fama ad un saggio, giustamente famoso, dal titolo molto significativo: Macchine calcolatrici e intelligenza. Il saggio fu presentato alla rivista inglese Mind6 e si proponeva di impostare una discussione filosofica sulla questione se le macchine possano “pensare”, una domanda nel seguito molto esplorata e dibattuta da quella che cinque anni dopo sarà chiamata, appunto, Intelligenza artificiale7. L'estrema sinteticità del “Semaforo” non consente di dire se e quanto sia corrispondente al vero l'affermazione di Ceccato circa la “magica fantasia” che avrebbe colto Sinisgalli all'idea di una “macchina mentale”. Ma il passo citato conferma certamente il suo interesse al dibattito di grande attualità in quegli anni (e anche oggi) suscitato dalle riflessioni di Turing, sulle quali per il momento ci intratteniamo brevemente.

Alan Turing

 

Lo schema argomentativo del saggio prevede di rispondere a due domande preliminari: cosa significa “pensare” e cosa è una “macchina”. Vediamolo nelle parole stesse di Turing8:

Il gioco dell’imitazione

 

Propongo di considerare la domanda: “Le macchine possono pensare?”. Si dovrebbe iniziare con le definizioni del significato dei termini “macchina” e “pensare”.

Le definizioni potrebbero essere architettate in modo da riflettere per quanto sia maggiormente possibile l'uso comune delle parole, ma questo atteggiamento è pericoloso.

Se si deve trovare il significato delle parole “macchina” e “pensare” esaminando come vengono usati normalmente, è difficile evitare la conclusione che il significato e la risposta alla domanda “Le macchine possono pensare?” potrebbero trovarsi mediante sondaggi statistici [Gallup nell'originale]. Ma questo è assurdo.

Invece di provare a dare una tale definizione, cambierò la domanda con un'altra, che è strettamente connessa a quella e che si esprime in termini relativamente non ambigui.

Si può descrivere la nuova forma del problema in termini di un gioco che chiamiamo il “gioco della imitazione”. Si gioca in tre: un uomo (A), una donna (B) e un interrogante (C), che può essere di entrambi i sessi. L'interrogante sta in una stanza, separato dagli altri due. Lo scopo del gioco per l'interrogante è quello di determinare chi sia l'uomo e chi la donna.

Lo scopo di A nel gioco è di far fare a C le identificazioni errate.

Lo scopo del gioco del giocatore (B) è di aiutare l'interrogante. La migliore strategia per lei è probabilmente di dare risposte vere.

Ora poniamo la domanda: “Che cosa succede quando una macchina prende il posto di A nel gioco?”. Le identificazioni errate dell'interrogante saranno tante quante quelle fatte nel gioco con un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono quella originale “Le macchine possono pensare?”

Come si vede, il senso del gioco è abbastanza chiaro: nel passaggio dall'umano alla macchina, la frequenza di risposte errate alle domande dell'interrogante sarà comparabile al caso originario? Per rispondere a questa nuova domanda, bisogna definire che cosa è la macchina di cui si parla in questo ipotetico gioco. Le macchine interessate al gioco sono i calcolatori digitali, “macchine costruite per compiere qualsiasi operazione che possa essere compiuta da un calcolatore umano”. La metafora di calcolatore proposta da Turing è costruita così tramite una descrizione dei metodi che accomunano la macchina e l'essere umano nel rispondere criticamente a una domanda. Il senso della metafora costruita da Turing è abbastanza chiaro: il giorno in cui non saremo in grado di distinguere – dalle risposte fornite da un essere umano e da una macchina – quale sia l'umano e quale la macchina, allora vorrà dire che le macchine avranno raggiunto un livello “accettabile di intelligenza”, ossia “pensano”.

Erano idee ben note, che avevano naturalmente provocato discussioni, alle quali intende rispondere il saggio di Turing. Una di queste era stata provocata da un neurochirurgo famoso, Geoffrey Jefferson (1886-1961), e in una occasione di grande risonanza ‘mediatica’ (si direbbe oggi), la “Conferenza Lister”9 che il medico tenne il 9 giugno 1949 – presso il “Collegio reale” dei chirurghi inglesi – in occasione dell'assegnazione della omonima medaglia. La conferenza di Jefferson aveva per titolo: “The Mind of Mechanical Man” [La mente dell'uomo meccanico]10. La conferenza di Jefferson è sufficientemente aggiornata, giovandosi sia di buone letture (Wiener11) sia delle discussioni con Frederic Calland Williams (1911-1977), che assieme a Turing e a Tom Kilburn (1921-2001) aveva lavorato alla progettazione e alla costruzione del computer di Manchester. Il saggio di Turing del 1950 non poteva dunque ignorare il punto di vista del dr. Jefferson. Ecco quanto scrive Turing (pp. 445-46):

[Esamino adesso] l'argomento che deriva dalla Coscienza. Questo argomento è molto ben espresso nella “Conferenza Lister” del professor Jefferson per il 1949, da cui cito. “Solo quando una macchina sarà in grado di scrivere un sonetto o comporre un concerto in base a pensieri o emozioni provate, e non per una cascata casuale di simboli, potremo essere d'accordo che la macchina è uguale al cervello, cioè, non solo scrive, ma riconosce ciò che ha scritto. Nessun meccanismo potrà provare sentimenti (e non solo segnali artificiali, un facile artificio) piacere per i suoi successi, dolore quando le sue valvole fondono, riscaldarsi per l'adulazione, essere triste per gli errori, essere affascinato dal sesso, arrabbiarsi o deprimersi quando non può ottenere ciò che vuole”.

Questo argomento sembra essere la negazione della validità della nostra prova. Secondo la forma più estrema di questo punto di vista, l'unico modo con cui si può essere sicuri che una macchina pensa è quello di essere la macchina e sentirsi un essere pensante. Si potrebbero descrivere allora questi sentimenti al mondo, ma ovviamente nessuno sarebbe tenuto a prestarvi attenzione. Allo stesso modo, secondo questo punto di vista, l'unico modo per sapere che un uomo pensa è quello di essere quell'uomo particolare. È questo infatti il punto di vista solipsista. Potrebbe essere ila punto di vista più logico da sostenere, ma rende difficile la comunicazione delle idee. Si suppone che A creda all'affermazione: ‘A pensa ma B no’, mentre B crede all'affermazione: ‘B pensa, ma A no’. Invece di discutere in continuazione su questo punto si è soliti convenire gentilmente che tutti pensano.

Sono sicuro che il professor Jefferson non intende adottare il punto di vista estremo e solipsista. Probabilmente sarebbe molto disposto ad accettare come test il gioco dell'imitazione. Il gioco (con l'omissione del giocatore B) è spesso usato in pratica sotto il nome di viva voce, per scoprire se qualcuno capisce davvero qualcosa o se ha ‘appreso in modo pappagallesco’. Si ascolti una parte di un tale viva voce:

 

Interrogante: Se nella prima riga del tuo sonetto in cui si legge ‘Vorrei paragonarti ad un giorno d'estate’, si mettesse ‘un giorno di primavera’ suonerebbe ugualmente bene o meglio?

Teste: Non farebbe rima.

Interrogante: Che ne dici di ‘un giorno d'inverno’? Suonerebbe bene.

Teste: Sì, ma nessuno vuole essere paragonato a un giorno d'inverno.

Interrogante: Vuoi dire che il signor Pickwick ti ricorda Natale?

Teste: In un certo senso.

Interrogante: Eppure Natale è un giorno d'inverno, e non credo che al signor Pickwick dispiacerebbe il confronto.

Teste: Io non penso che tu sia serio. Con un giorno d'inverno si intende un giorno d'inverno tipico, non un giorno speciale come il Natale.

 

E così via. Che cosa direbbe il professor Jefferson se la macchina che scrive il sonetto fosse in grado di rispondere così nel viva voce? Non so se egli considererebbe la macchina che emette queste risposte come capace ‘solo di segnali artificiali’, ma se le risposte sono state soddisfacenti e argomentate come nel passaggio precedente. Io non penso che descriverebbe ciò come ‘un facile espediente’. […]

Leonardo Sinisgalli

 

Arrestiamo qui la narrazione, ormai eccessivamente lunga per il fine cui doveva servire: sottolineare l'importanza di questa agile ed efficace sintesi che un poeta quale Sinisgalli fa del ‘gioco dell'imitazione’ immaginato da Turing per controbattere i suoi critici e al contempo chiarire in quale senso dovesse intendersi l'analogia uomo-macchina Un solo appunto ci sia permesso muovere a Sinisgalli: aver saltato il passaggio essenziale di Turing, che si concentra come abbiamo visto sul dialogo fra umani, e lascia sullo sfondo la possibilità che una macchina possa riprodurlo. Sinisgalli ha voluto bruciare le tappe e andare alla conclusione, quasi a lanciare un “warning”. Questa conclusione ci sembra autorizzata dalla recensione che nel numero precedente Sinisgalli aveva fatto del primo “Congresso Italiano di Metodologia” (Torino, 17-21 dicembre 1952) organizzato dal Centro di Studi Metodologici12 di Torino e dal Centro Italiano di Metodologia e Analisi del Linguaggio che pubblicava la rivista «Methodos»13. La recensione di Sinisgalli14 si soffermava in modo particolare sull'ultima relazione del Congresso, quella di Delfino Insolera15: «Considerazioni sulla tecnica matematica richiesta dalle macchine calcolatrici ad alta velocità», e scriveva:

Le calcolatrici elettroniche lavorano con un tipo di calcolo che, per velocità di operazione, impostazione di problemi, ricerca del risultato, è del tutto nuovo rispetto ai metodi usuali. Insolera si è domandato se questo nuovo modo di concepire ed eseguire i calcoli non apre alla matematica prospettive inaspettate.

La matematica potrebbe non apparire più come una scienza logico-deduttiva ma come «una scienza delle prove ripetute» del tipo probabilistico. E i matematici, senza ricorrere alle arti sottili della logica, potrebbero dimostrare sperimentalmente i loro teoremi. «Resta forse irriducibilmente mentale, cioè umana, l'operazione di invenzione dei nuovi algoritmi, cioè in sostanza l'invenzione di nuove operazioni: ma questo vuol dire che la macchina calcolatrice non è un matematico».

A noi sembra perciò, in conclusione, che il semaforo del numero successivo e, quasi nello stesso tempo, l'aiuto offerto a Ceccato, rappresentino insieme un monito e una scommessa, nel rigoroso rispetto della maturità dei lettori.

 

 

Note

1. Cfr. S. Ceccato, Leonardo Sinisgalli, civiltà delle macchine e adamo II, in ATTI del Simposio di studi su Leonardo Sinisgalli (Matera-Montemurro 14-15-16 maggio 1982, Liantonio, Matera, 1987, pp. 495-504.

2. Dénes Gabor (1900-1979) era un fisico (e ingegnere) di origine ungherese, ma naturalizzato inglese. Fu Premio Nobel per la fisica nel 1979 per le sue ricerche nel campo dell'ottica elettronica.

3. È il titolo di un articolo del 1946 del famoso George Orwell 81903-1950).

4. Laureato in ingegneria industriale (sezione elettronica) nel 1949, Maretti (1922-1980), dopo una breve parentesi dedicata a un lavoro iniziato prima della laurea presso un ufficio brevetti, si era impegnato in un'attività imprenditoriale nel settore dell'automazione industriale, progettando e costruendo linee di montaggio automatiche per importanti industrie italiane automobilisti che e metallurgiche.

5. Il Convegno internazionale “sui problemi dell'automatismo”, fu organizzato dal CNR e si tenne dall'8 al 13 aprile, in concomitanza con la “Mostra internazionale dell'automatismo” che vide la presenza di 40 espositori.

6. Cfr. A. Turing, Computing Machinery and Intelligence, Mind (A Quarterly Review of Psychol. and Philos.), vol. LIX, N. 236 (Octob. 1950), pp. 433-460 (disponibile in rete http://www.abelard.org/turpap/turpap.php). Conviene ricordare che la rivista Mind (‘di psicologia e filosofia’), fondata nel 1876, per il rigore dell'informazione e l'ampio respiro dell'impostazione, senza preclusioni aprioristiche, rappresentava un punto di riferimento classico degli studi epistemologici.

7. È stato l'informatico John McCarthy (1927-2011), vincitore nel 1971 del prestigioso “Turing Award”, a coniare nel 1955 il termine IA in una proposta per creare un gruppo di lavoro.

8. Cfr. Turing, Computing Machinery …, cit., pp. 433-434.

9. Queste conferenze prendevano nome dal chirurgo inglese Joseph Lister (1827-1912).

10. La si può leggere in British Medical Journal (Saturday june 25 1949, pp. 1106-1110.

11. Di Norbert Wiener (1894-1964) Jefferson cita espressamente il fondamentale Cybernetics: Or Control and Communication in the Animal and the Machine, Hermann, Paris & MIT Press, Cambridge (Mass., USA), 1948.

12. Il “Centro di Studi Metodologici” (CSM) di Torino fu costituito nell'autunno 1947 con lo scopo di condurre ricerche sui rapporti fra logica, scienza, tecnica e linguaggio, e diventò in breve tempo il principale centro di diffusione dell'epistemologia in Italia. I promotori, il filosofo Nicola Abbagnano, il matematico Eugenio Frola, il matematico-filosofo Ludovico Geymonat, l'ingegnere aeronautico Prospero Nuvoli, e il fisico Enrico Persico, nell'estate del 1945 avevano dato l'avvio ad una serie di incontri informali tra matematici, biologi, filosofi e logici per scambi di idee su questioni generali e particolari di metodo, riguardanti le scienze e le discipline da loro coltivate. In seguito altri eminenti studiosi, tra i quali il filosofo Norberto Bobbio e il matematico Piero Buzano, avevano partecipato a quegli incontri che ancora oggi vengono ricordati come l'origine del Centro (si veda L. Giacardi e C.S. Roero, L'eredità del Centro di Studi Metodologici di Torino, in Quaderni di storia dell'Università di Torino, II, 1998, pp. 289-356). Nell'inverno del 1946 aveva avuto inizio una lunga serie di conversazioni pubbliche inaugurate da Geymonat. In seguito quelle conversazioni pubbliche continuarono presso l'Unione Culturale e la Facoltà di Economia e Commercio dell'Università, e vi presero parte numerosi studiosi tra i quali i matematici Mauro Picone, Silvio Ceccato, Bruno de Finetti e Francesco Severi. Questi primi due cicli di conversazioni avevano dato luogo a due pubblicazioni: Fondamenti della scienza, De Silva, Torino, 1947, e Saggi di critica delle scienze, De Silva, Torino, 1950. Nel frattempo, l'11 gennaio 1948 si era costituito ufficialmente il CSM.

13. Il “Centro Italiano di Metodologia e Analisi del Linguaggio” (C.I.M.A.) nacque a Milano, nell'immediato dopoguerra, per iniziativa di Silvio Ceccato. Sotto l'egida del Centro ebbe inizio, nel 1949, la pubblicazione della rivista trimestrale internazionale Methodos, dedicata fino al 1951 alla metodologia ed alla logica simbolica. Nel 1952, Methodos diventa rivista di metodologia e analisi del linguaggio, e come tale continua ad apparire a cura del C.I.M.A. anche nel 1953. Nel 1954 il linguaggio passa in primo piano, nel senso che Methodos diventa organo della “Scuola Operativa Italiana”, ma dedicato a “linguaggio e cibernetica”. Le cose vanno avanti così fino al 1959, quando al posto della “Scuola Operativa Italiana” subentra il “Centro di Cibernetica e di Attività Linguistiche” dell'Università di Milano. Le pubblicazioni di Methodos cessano col vol. XVI del 1964.

14. Cfr. Civiltà delle Macchine, a. I, n. 2 (marzo 1953), p. 80: rubrica “Biblioteca”.

15. Si autodefiniva un divulgatore, ma in realtà l'ingegnere D. Insolera (1920-1987) era un filosofo della scienza, che divenne poi (dal 1960) un intelligente direttore editoriale della Zanichelli.