La Finmeccanica è anche sviluppo e ricerca

Il destino di Finmeccanica e dell’Italia

 

Investe ogni anno oltre 2 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. Ha 16.000 ingegneri sparsi per il pianeta. È con la Fiat la più grande aziende manifatturiera del Paese: 40.000 dipendenti in Italia, 70.000 nel mondo. Ma, a differenza della casa automobilistica torinese, la sua specializzazione produttiva è soprattutto nel settore hi-tech: aerospazio, elettronica avanzata per i trasporti e la difesa, energia e trasporti. Per tutto questo, la crisi (doppia) che sta vivendo Finmeccanica non è una crisi tra tante altre ma ha un carattere strategico per il nostro Paese. Se crolla anche Finmeccanica, l’Italia esce definitivamente dal mercato mondiale dell’alta tecnologia. Mercato che il Paese frequenta pochissimo. E per questa scarsa frequentazione paga un conto salatissimo. La crisi della Finmeccanica - lo dicono le cronache - è doppia. Da un lato c’è quella del gruppo dirigente, investito da una serie piuttosto grande – e anche piuttosto sconcertante – di scandali. Ma, dall’altro, lato c’è una crisi determinata da cause squisitamente economiche. La crisi del gruppo dirigente nasce da comportamenti che sono al vaglio della magistratura. Come si sa, Finmeccanica è un’azienda pubblica: lo Stato, controllando il 30,2% del pacchetto azionario, è l’azionista di riferimento. Gli scandali sembrano nascere non solo da una certa disinvolta di alcuni top manager, ma anche da un rapporto troppo stretto con la politica. Saranno i giudici a stabilire se ci sono stati reati e chi li ha commessi. Ma intanto il nuovo governo è chiamato a ripristinare un quadro di rapporti tra politica e management chiaro e ben separato nei rispettivi ruoli. Non meno impegnativa è, invece, la soluzione della crisi motivata da cause economiche. Prima di analizzarle, conviene ricordare che Finmeccanica opera soprattutto in tre settori: l’aerospazio (fabbrica aerei ed elicotteri, ma anche satelliti); l’energia e i trasporti (ferrovie, ma anche magneti superconduttori); elettronica avanzata (per il sistema trasporti e per la difesa). In alcuni di questi settori c’è stata una caduta della domanda. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo intero, comprese nelle economie emergenti (Cina, Brasile, India e Russia), la crisi economica degli ultimi anni ha prodotto una diminuzione della spesa in armi. Finmeccanica produce sistemi d’arma: dagli elicotteri all’elettronica di sorveglianza. È la terza azienda europea del settore. E, dunque, ha risentito di questa crisi. Tutta italiana è, invece, la caduta della domanda nel settore ferroviario. In particolare dei treni a percorrenza regionale. Per questo motivo, una sola delle aziende del gruppo – la Ansaldo Breda – ha accumulato perdite tra il 2004 e il 2010 per circa 800 milioni di euro. L’azienda è stata messa in vendita e molti temono che sia il preludio di una politica – lo “spezzatino” – che potrebbe portare a un sostanziale ridimensionamento di Finmeccanica. In realtà anche il settore dell’aerospazio – dove la maggiore azienda del gruppo è l’Alenia – non va per il meglio. Se non tirasse ancora l’ATR – il piccolo aereo a elica che ha avuto e ha grande successo – anche questo comparto si troverebbe in difficoltà. Secondo alcuni analisti, queste difficoltà nascono anche da scelte poco chiare o mancate scelte di politica industriale da parte del management di Finmeccanica. Aggravata dalla polemica politica nata in seguito alla decisione, da parte del gruppo dirigente, di trasferire la sede legale, dopo una serie di operazioni di fusione, da Casoria nei pressi di Napoli a Venegono (in provincia di Varese). Alcuni hanno visto in questa decisione una concessione, politica appunto, alla richieste della Lega Nord di Umberto Bossi. Ma, forse, la situazione più critica riguarda gli investimenti nella ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (R&S), per buona parte finanziati in passato dal Ministero della Difesa. Con i suoi 2,03 miliardi di euro stanziati nel 2010 (in aumento del 2,4% rispetto al 2009), Finmeccanica si è confermata come il gruppo industriale italiano che spende di gran lunga di più in R&S. Anzi, come l’unico grande gruppo che fonda il sua specializzazione produttiva nell’hi-tech sulla ricerca. Anche sul piano internazionale Finmeccanica costituisce una media potenza. È al sedicesimo posto in Europa e al quarantanovesimo nel mondo per investimenti in R&S. Ma nei prossimi anni queste posizioni potrebbero essere erose. Finmeccanica lamenta che il Ministero della Difesa ha annunciato tagli negli investimenti per 1,2 miliardi di euro nel 2012 (-30%) e per ulteriori 500 milioni (-12%) sia nel 2013 che nel 2014: 2,2 miliardi nei prossimi tre anni. Senza questi investimenti - sostiene Finmeccanica - l’azienda farà fatica a tenere il asso nel settore della ricerca scientifica e dello sviluppo economico. Cosicché è chiaro. Il nuovo governo non solo dovrà intervenire per assicurare il migliore management a Finmeccanica ma dovrà decidere quale sarà il suo futuro in tutti i settori: aerospazio, trasporti, elettronica, difesa. È forse la prima grande scelta di politica industriale – e dunque di economia reale, non solo di economia finanziaria – che il primo ministro e ministro dell’economia Mario Monti è chiamato a effettuare. Da cosa deciderà, capiremo se il suo governo mira a reinserire l’Italia nel novero dei Paesi che puntano su una produzione hi-tech fondata sulla ricerca scientifica o se invece ritiene che l’Italia sia ormai definitivamente fuori dall’economia della conoscenza.