La guerra del '15-'18 termina il 4 Novembre. Un anno prima era morto Eugenio Elia Levi

 

Caporetto

Alle 2:00 del 24 ottobre 1917, forti di 2.147 cannoni e di 371 bombarde, i generali austroungarici e tedeschi scatenarono un infernale bombardamento sulle posizioni tenute dalla II e III Armata del Regio Esercito Italiano, sul fronte dell’Isonzo. Dopo 6 ore di incessante martellamento, da cui emerse uno sconvolgente paesaggio lunare, i 353000 uomini degli eserciti imperiali si riversarono sulle trincee italiane, sfondando nei pressi di Gabria e di San Daniele del Carso, dove reparti bosniaci e le temutissime truppe slesiane ebbero rapidamente la meglio sugli italiani. Fu l’inizio della ritirata di Caporetto, la più disastrosa sconfitta nella storia dell’esercito italiano.

Mentre i reparti della II armata venivano travolti e la III armata cercava faticosamente di ripiegare, iniziava una lenta e dolorosa fuga di centinaia di migliaia di profughi friulani, mischiati a reparti di sbandati, che tentavano di raggiungere i ponti sul Tagliamento prima che fossero fatti brillare dal Genio. La disfatta di Caporetto, dramma nel dramma più generale rappresentato dalla prima guerra mondiale, costò la vita a migliaia di connazionali e rappresentò un vero e proprio shock collettivo per gli italiani, tanto da essere divenuto parte incancellabile nell’immaginario dell’intera Nazione, sino a divenire espressione proverbiale.

Durante le giornate convulse della ritirata, il 28 ottobre nei pressi di Cormons, cadde colpito da una pallottola vagante, il capitano di complemento del Genio Eugenio Elia Levi. Quella palla nemica spense la vita e la carriera di uno dei più grandi matematici italiani del ‘900.

Eugenio Elia Levi nacque a Torino il 18 ottobre del 1883, ultimo dei 10 figli di Giulio Levi e Diamante Pugliese. Fratello di Beppo, destinato anch’egli a divenire matematico di fama internazionale e ad abbandonare l’Italia a seguito delle leggi razziali del ’38, Eugenio Elia si segnalò sin dai tempi del Liceo – frequentato presso il d’Azeglio di Torino – come allievo assai dotato. Tanto brillante da conseguire il diploma a soli 17 anni e da laurearsi a 21 presso la Regia Scuola Normale di Pisa, dove rimase per qualche tempo quale assistente di Ulisse Dini.

Superato con la lode, a 23 anni, l’esame per l’abilitazione all’insegnamento, si classificò secondo nel 1908 nella terna vittoriosa del concorso per la cattedra di Analisi infinitesimale all’Università di Messina. In seguito all’esito di tale concorso andò a ricoprire, un anno più tardi, la stessa cattedra resasi disponibile presso l’Università di Genova, ove rimase sino alla chiamata alle armi. La parabola di Levi fu rapidissima: gli articoli del biennio 1907-08 sulle equazioni a derivate parziali del 2o ordine totalmente ellittiche, gli valsero fama immediata ed ebbero una parte non irrilevante nell’assegnazione della medaglia d’oro della Società Italiana delle Scienze (società dei XL) nel 1911 (medaglia che venne donata alla Croce Rossa genovese allo scoppio della guerra). L’originalità di tali lavori fu tale che essi rappresentarono per lungo tempo il vertice raggiunto da questo settore della Matematica a livello mondiale. A suggellare definitivamente il successo professionale, giunse lo stesso anno la nomina a socio dell’Accademia dei Lincei.

Per meglio comprendere l’atteggiamento del giovane matematico torinese nei confronti del primo conflitto mondiale, leggiamo le parole a lui dedicate da Mario Lobetti-Bodoni, docente del Liceo d’Azeglio e autore del retorico e celebrativo Pei morti eroi del d’Azeglio, pubblicato dalla Sei al termine della guerra:

Qui piace rendere onore – e si vorrebbe avere per tal fine, un’altezza adeguata di parola – all’intemerato carattere di questo studioso, alla sua coerenza, al suo eroismo. Uomo di scienza, avvezzo a studi severi, pei quali occorre che l’uomo tutto si doni, quasi straniandosi dai rumori e dal fiotto della vita, egli alla vita partecipò, invece, con entusiastica fede. Uomo di scienza, giudicò un affronto alla verità e alla giustizia quell’atto degli scienziati tedeschi, ond’essi vollero coonestare, all’inizio della guerra, il proditorio attacco della loro nazione: divenne allora, come si volle dire con nuovo gergo, un interventista; e quando sonò la diana di guerra, non si rassegnò alla dichiarazione di riforma decretata dal Consiglio di Leva, ne sollecitò con impetuosa insistenza la revisione, ottenne, dopo istanze e premure e sollecitazioni continue , di essere assunto in servizio militare nell’ottobre del 1915, come sottotenente del 1° Reggimento del Genio di sede in Pavia. Nel dicembre fu rimandato al suo insegnamento, il che fu praticato allora e negli anni successivi per gli ufficiali che erano professori universitari; e si badi che il Levi insegnava una disciplina fondamentale che avrebbe dato diritto, a chi avesse voluto servirsene, all’esenzione dal servizio militare […] .

Un atteggiamento, dunque, di acceso interventismo e di fervore patriottico che accomunò, almeno nei primi anni di guerra, molti scienziati italiani. A tal proposito si veda quanto scrivono Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi in L’Italia degli scienziati. 150 anni di storia nazionale.

Le indubbie capacità di organizzatore e di lavoratore infaticabile valsero a Levi rapide promozioni – sino al grado di capitano – ed una decorazione di medaglia di bronzo al valor militare. Nell’agosto del 1917 venne trasferito nella regione goriziana, nell’altopiano della Bainsizza, poche settimane prima che il fratello maggiore Decio trovasse la morte sul Monte Santo.

La compagnia del capitano Levi, nelle caotiche e concitate giornate seguite allo sfondamento austro-tedesco, venne riposizionata nei pressi di Cormons. Qui il reparto incappò nella fuoco di fucileria nemico e una pallottola colpì il giovane matematico ad una tempia, unico caduto tra tutti i soldati del reparto.

La morte di Eugenio Elia Levi rappresentò una delle più gravi perdite inflitte alla scienza mondiale, nel corso dell’intero primo conflitto. Ripugnanti, a tale proposito, le parole di Lobetti-Bodoni: Troppo bello sarebbe, se in così giganteschi conflitti, le vittime non fossero che la parte meno necessaria, intellettualmente, al paese. Parole che fanno a pugni con la nostra sensibilità, ma che ben testimoniano il sentire di una parte dei ceti intellettuali della nazione all’avvento del fascismo.

Oggi il nome di Eugenio Elia Levi è scritto su di una targa in bronzo, in posizione un poco defilata, in un lungo corridoio del Liceo Massimo d’Azeglio, insieme a quello di altri 97 sfortunati allievi ed ex allievi dell’istituto, che ebbero quale unico torto di essere giovani mentre il Mondo impazziva e precipitava verso l’orrore.