Lobačevskij. L’invenzione delle geometrie non euclidee

In questo eccellente saggio – definirlo biografia sarebbe riduttivo – Renato Betti ricostruisce la vicenda umana e l’opera scientifica del più innovativo matematico russo della prima metà dell’Ottocento: Nikolaj Ivanovič Lobačevskij. Misconosciuto dai suoi contemporanei, asceso post mortemagli altari della gloria come uno degli inventori della geometria non euclidea, Lobačevskij ha i tratti tormentati di un personaggio quasi da romanzo; potrebbe sembrare una figura partorita dalla fantasia di un Gogol’ – poniamo – che abbia voluto rappresentare la difficile parabola esistenziale di un individuo di genio impastoiato nella soffocante mediocrità di un ambiente di provincia.

Nato a Nižnij Novgorod nel 1792 – forse figlio illegittimo di un agrimensore –, Lobačevskij si trasferisce, ancora bambino, a Kazan’, l’antica capitale del glorioso khanato omonimo, incendiata da Pugačëv nel 1794 e in seguito ricostruita, in stile moscovita, da Caterina II. In questa città trascorrerà il resto dei suoi anni, in una raggelante solitudine intellettuale: prima studente, successivamente “maestro” in scienze fisico-matematiche, quindi professore, infine rettore della locale università, la sua carriera è tutta un penoso barcamenarsi tra beghe accademiche e vessazioni da parte dei potenti di turno, nell’amarezza costante di non vedere riconosciuto – anzi, spesso irriso e vituperato – il proprio lavoro scientifico. Nel 1849, il mutato clima politico lo costringe ad abbandonare anzitempo il servizio e a ritirarsi a vita privata: morirà sei anni più tardi, cieco e malandato, in completo isolamento.

Oltre alle vicende storiche e biografiche, il libro di Renato Betti (ordinario di geometria al Politecnico di Milano) ha il pregio di mettere in luce, con linguaggio piano ma rigoroso, l’importanza dell’opera matematica di Lobačevskij, inquadrandola nella più vasta storia della “teoria delle parallele”, analizzando le sue caratteristiche più salienti e offrendo, negli ultimi due capitoli, una significativa panoramica dei principali sviluppi e interpretazioni cui diedero origine. In un breve articolo del febbraio del 1826 per gli “Appunti scientifici dell’Università di Kazan’” (in realtà mai dato alle stampe, giacché la rivista cui era destinato non arrivò ad avviare le pubblicazioni), Lobačevskij sviluppò un sistema geometrico che differiva da quello euclideo in quanto ammetteva l’esistenza di almeno due rette parallele a una retta data e passanti per un punto fuori di essa. Questa nuova geometria, da una parte, rappresentava il punto conclusivo di un percorso di ricerca iniziato almeno quindici secoli prima – il tentativo di dimostrare il quinto postulato usando gli altri postulati degli Elementi di Euclide –, dall’altra apriva orizzonti concettuali del tutto inaspettati. In particolare, costituiva una netta rottura con le idee espresse da Kant sulle forme a priori dell’intuizione e imponeva, di conseguenza, un ripensamento radicale della nozione di spazio.

Altri matematici (ad esempio, Gauss e János Bolyai) condividono con Lobačevskij la gloria della scoperta – o dell’invenzione, se si preferisce – delle geometrie non euclidee. L’importante non è tanto decidere la futile questione della priorità a favore dell’uno o dell’altro, quanto rintracciare l’origine, in quegli anni, di un nuova visione geometrico che rivoluzionerà non solo il pensiero matematico ma anche la concezione dell’universo fisico.