Matematica e Architettura: dal canone... al caos

Matematica e Architettura: dal canone... al caos

L'occasione per parlaredi Matematica e Architettura – attesa con emozione dagli affezionati e con scadenza biennale – è il Convegno Internaziona­le Nexus 2006: Architetture and Mathematics che quest'anno si è svol­to a Genova nella prestigiosa sede della Facoltà di Architettura.
Parallelamente al Convegno, è stata allestita nel Cisternone dell'Università (uno spazio espositivo molto suggestivo) la mostra Il Laboratorio dei modelli 06. che presentava percorsi didattici tra Matematica e Architettura progettati e realizzati da alcune classi dell'Istituto d'Arte di Monza in collaborazione con il Liceo artistico di Busto Arsizio.

Sia il Convegno sia l'esposizione avevano un unico obiettivo: mostrare gli evidenti legami tra le due discipline e contemporaneamente offrire un momento di riflessione, nel tentativo di evidenziare percorsi noti e ricucire apparenti fratture tra i due ambiti disciplinari.
Per poter fare questo basta guardare con gli occhi della contemporaneità, leggere in chiave moderna e tradurre in un linguaggio aggiornato antiche conoscenze. Ma procediamo per gradi.

Nel programma del Convegno, si evidenziano tre momenti fondamentali che percorrono il cammino dal canone al caos. Potremmo indicarli come:

- classico

- contemporaneo

- computazionale

Ovviamente la divisione – soprattutto dal punto di vista temporale – non è mai netta e non è necessariamente la stessa per entrambe le discipline. Non c'è mai una separazione, ma passaggi più o meno repentini dall'uno all'altro. Noi li affronteremo uno per uno, ma ovviamente ciascuno di loro copre, nelle due discipline, archi temporali non sempre coincidenti.     

 

Classico

Per secoli, il canone – la regola – stabilisce le norme estetiche. La simmetria e la sezione aurea dettano i canoni costruttivi. Il costruito deve – quasi in ogni sua parte – rispettare queste regole derivanti dalla Matematica e miranti al raggiungimento della perfezione. Si pensi al Partenone, alle cattedrali romaniche e gotiche, agli acquedotti romani, a Castel del Monte, architetture all'interno delle quali si possono trovare numerosi esempi di applicazioni delle simmetrie e della sezione aurea (quest'ultima presente necessariamente, anche se in modo latente, là dove compare la scelta di una forma pentagonale). I matematici classificano le possibili simmetrie nel piano in strutture algebriche - in gruppi - e affermano che esistono solo 17 gruppi di simmetrie nel piano. In Architettura, tutti sono già presenti nei mosaici dell'Alhambra di Granada, anche se la dimostrazione di quanto affermato è molto più recente.

Da sempre, gli studiosi sono mossi dal desiderio di descrivere in termini matematici il mondo. Pensiamo a Platone, che presenta una sorta di architettura dell'universo (più precisamente dall'origine del cosmo fino alla descrizione della genesi e della natura degli uomini) in termini rigorosi e razionali, partendo dai triangoli e dal loro assemblaggio. Nel Timeo scrive: "E diede ad esso una forma che gli era conveniente ed affine. Infatti, al vivente che deve comprendere in sé tutti i viventi è conveniente quelle forma che comprende in sé tutte quante le forme. Perciò lo tornì arrotondato, in forma di sfera che si stende dal centro agli estremi in modo eguale da ogni parte, ossia la più perfetta di tutte le forme e la più simile a sé medesima, ritenendo il simile più bello del dissimile" e ancora "... Ma la superficie piana e retta è costituita di triangoli. E tutti i triangoli derivano da due triangoli, aventi ciascuno un angolo retto e due acuti. Di questi triangoli, poi, alcuni hanno da ciascuna parte una parte uguale di angolo retto delimitata da lati uguali; altri, invece, hanno parti disuguali divise da lati disuguali ...".
La regola matematica offriva ovviamente una specie di rifugio sicuro - non solo allora - alle risposte da fornire alle tantissime domande sulla struttura del mondo e delle cose che nel mondo ci circondano. Lo stesso accade quando le pratiche usate per la rappresentazione – si pensi alla prospettiva (inizialmente nata come scienza della visione e divenuta poi scienza della rappresentazione) – avvertono l'esigenza di una spiegazione scientifica e di una formalizzazione più rigorosa. Ancora una volta ci si affida alla Matematica: dalla prospettiva si genera la Geometria proiettiva che offusca, almeno tra i matematici, il fulgore della sua illustre madre.
Contemporaneo

È soprattutto all'inizio del secolo scor so che avvengono i più grandi mutamenti, in quasi tutti gli ambiti disciplinari, rispetto alla conoscenza codificata precedentemente: Arte, Architettura, Musica, Letteratura, Fisica, Matematica, ecc.. Nascono, e si affermano, la Psicologia e poi la Cibernetica. È un processo di innovazione sconvolgente. Si comprende che la regola non può più essere unica. Si sfidano e si infrangono le regole costituite (si pensi alla musica dodecafonica). Si introducono, in molti ambiti, più punti di vista.
In Architettura è soprattutto nella seconda metà del secolo che appaiono nuovi elementi costruttivi e ci si allontana da forme rassicuranti, e soprattutto chiuse, quali la circonferenza e l'ellisse. Vengono usate forme più complesse dal punto di vista descrittivo. Ad esempio, compaiono più spesso (oltre alle parabole) iperboli, catenarie e tantissime altre curve quali cardioide, lemniscata, versiera, ecc., unitamente a tutte le possibili intersezioni e combinazioni tra queste.
Sergio Musmeci, nella progettazione del ponte sul Basento (Potenza, 1967/69), cercando la forma più adatta alla realizzazione del suo progetto, scrive: "mi sono divertito a determinare la forma dell'arco limite cioè di un arco che porta solo se stesso.
Esso ha la sagoma la cui equazione è y =log (cosx), a parte, le costanti moltiplicative che tengono conto della resistenza del materiale. Questa curva è caratterizzata da alcune proprietà geometriche molto interessanti " . La Matematica ancora una volta è la regola che ispira la generazione di forme e che risolve problemi costruttivi. Lo sviluppo matematico e scientifico consente di spaziare tra nuove forme e di usare materiali innovativi, per accettare e risolvere sfide considerate impensabili in altri momenti storici. L'esigenza diventa l'ottimizazzione. La ricerca di una forma ottimale che risponda a richieste iniziali. La miglioretra le linee che ottimizzi l'area racchiusa. La migliore superficie che ottimizzi il volume racchiuso. Nascono così le superfici minime o, meglio, le superfici intelligenti, come vengono chiamate nell'Istituto di Stoccarda, la prestigiosa scuola fondata da Frei Otto, alla quale risalgono la progettazione e la costruzione delle prime grandi tensostrutture (si pensi al Padiglione Expo a Montreal, 1966/67). A partire dalla metà degli anni Sessanta, Frei Otto riunisce una squadra di architetti, ingegneri, matematici e biologi che analizzano le strategie costruttive e le soluzioni formali in riferimento alle "coperture leggere di grandi spazi". In questo contesto, vengono condotti parallelamente: uno studio puramente teorico sulle forme che ottimizzano il problema proposto (supportato da modelli sperimentali che utilizzano, ad esempio, lamine saponate); un'indagine di carattere tecnologico sui materiali e sulle scelte costruttive e uno studio delle strutture naturali che, su scala diversa, risolvono problemi analoghi a quello proposto. Le ricerche effettuate, basate su modelli sperimentali, pervengono a risultati formali che ricordano forme organiche. Ad esempio, nel progetto dello stadio olimpico di Monaco, vengono testate soluzioni e strategie adottate dai ragni nel tessere le loro tele. La somiglianza di queste strutture con quelle prodotte dalla natura non è frutto di un'imitazione delle sue forme ma dei suoi principi.

Vale la pena – a questo punto – ricordare che le prime superfici minime fu­rono studiate dal fisico belga J.A.F. Pla­teau (1801-1883). Erano generate dalle sezioni coniche e da trasformazioni eseguite su di esse (le rollette delle sezioni coniche) che producevano così superfici che racchiudevano il massimo volume con la minima area. Plateau trovò sei superfici minime: la sfera, il piano, il cilindro, la catenoide, l'onduloide e la nodoide. Per i suoi esperimenti si servì inizialmente di telaietti immersi in acqua saponata. Qualche secolo prima e senza usare le lamine saponate, ma solo metodi matematici, Eulero aveva osservato che la catenoide, la superficie generata dalla catenaria (la curva di equazione y=(ex + e-x)/2 o se preferiamo y = Chx, il coseno iperbolico di x) risolveva problemi di ottimizzazione.

Gli studi sulle superfici minime sono in seguito stati approfonditi da diversi matematici. Sempre nel corso del diciannovesimo secolo, Hermann Schwarz aveva formulato le soluzioni al problema di Plateau nel caso dei poligoni. Fu comunque l ' americano Jesse Douglas che individuò i risultati per il caso generale e che per questi, nel 1936, ottenne una delle prime due medaglie Fields.

Questi esempi appartengono principalmente al filone della cosiddetta Architettura degli ingegneri che trova un elemento fondante del proprio linguaggio nella ricerca scientifico-tecno­logica. In questo approccio progettuale, le forme utilizzate scaturiscono da ricerche condotte sia sui materiali sia sulle regole costruttive. È questa la poetica di progettisti quali Nervi, Le Ricolais, Fuller, Torroja, Candela, Calatrava, ecc.. Nelle loro opere si trovano numerosi esempi che testimoniano un connubio tra la Matematica e l'Architettura (si pensi alle grandi cupole geodetiche di Fuller).

Contemporaneamente a questa visione della forma si affianca quella più "tradizionale" fondata maggiormente su valori plastici e su considerazioni di natura funzionale. Un esempio -citato anche durante il convegno Nexus 2006- è fornito dalle opere di Oscar Niemeyer che, alla splendida età di 99 anni, continua – con entusiasmo – a progettare. Ricordiamo un suo pensiero che simboleggia in modo completo il passaggio del quale abbiamo parlato: "Non è l'angolo retto che mi attira. Neppure la linea retta, dura, inflessibile, creata dall'uomo. Quello che mi attira è la linea curva, libera e sensuale. La linea curva che ritrovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle nuvole del cielo, nel corpo della donna amata. L'universo intero è fatto di curve. L'universo curvo di Einstein". Niemeyer utilizza in modo esteso le superfici curve generate dalla rotazione di linee piane, spesso coniche. La sua è una ricerca di forme capaci di sintetizzare ed esprimere, attraverso un forte impatto visivo, messaggi fondamentali. Una immediatezza simbolica dettata da una scelta puramente geometrica ma, questa volta, solo per salvaguardare la purezza della forma come testimonianza di un linguaggio che aspira ad essere universale.

Computazionale

Finora la Geometria e, più in generale, la Matematica hanno contribuito a stabilire le regole sia per la risoluzione di problemi sia per la relativa scelta delle forme nella progettazione delle architetture. In realtà, rispetto agli esempi analizzati la situazione è già cambiata. Lo studio del caos e della complessità è da tempo patrimonio della Matematica. L'oggetto della ricerca non è più il continuo e il derivabile. Si è passati all'analisi di modelli discreti che corrispondono maggiormente ai fenomeni reali dei quali sono la descrizione. Si considerino, ad esempio, tutti i cosiddetti modelli caotici. Viene da pensare che in Matematica il "rigore" (la certezza, la stabilità, ecc.) da tempo abbia ceduto il posto all'approssimazione e anche all'analisi degli errori.

Ma tutto questo è possibile grazie al sostegno e alla rapidità degli strumenti informatici e al loro collegamento in rete. Si apre la strada a nuove indagini e questo vale anche per l'Architettura! La sensazione è che il messaggio di grande stabilità e solidità emanato dalle "vecchie architetture" – si pensi al Pantheon, alle cattedrali gotiche, all'architettura del razionalismo – venga sostituito da un messaggio effimero, aereo, fluttuante. Di grande effetto, di grande comunicazione visiva ma anche di grande "leggerezza". In questa evoluzione, sembra che la forma sia fine a se stessa, quasi eccesso e simbolo di un atto creativo eseguito esclusivamente dallo strumento. Quasi un processo casuale che, da un input iniziale, genera forme e superfici che non hanno più lo scopo di semplificare la rappresentazione del reale ma che, spesso, ne traducono l'odierna complessità.
Come esempio di modernità, ci piace pensare ad uno degli architetti che negli ultimi dieci anni ha acquisito una fama internazionale: Zaha Adid (ricordiamo tra i suoi progetti: il Centro per le Arti Contemporanee di Roma, la Grande Biblioteca del Quebec a Montreal, uno degli edifici della nuova Fiera di Milano, ecc.). La scelta è voluta e ne sarà subito comprensibile la motivazione.

Zaha nasce a Bagdad e, dopo essersi laureata in Matematica a Beirut, approda alla prestigiosa Architectural Association di Londra, dove si fermerà. Nel giugno 2005 Zaha ha tenuto una conferenza agli studenti dell'Accademia di Architettura di Mendrisio (in Svizzera) durante la quale ha illustrato alcuni suoi progetti. Nelle sue opere, unisce la solarità e la poesia dei luoghi di origine con la leggerezza e la trasparenza del luogo in cui attualmente vive e lavora.

Le linee generano forme sinuose che si rincorrono, si incontrano e si "sposano" riempiendo in modo unico e "importante" il territorio. Nascono così i suoi progetti più famosi nei quali è fondamentale la trasparenza e la fluidità: obiettivi che riesce a raggiungere adattando, alle sue forme, materiali non sempre "domabili" come, ad esempio, il cemento. Si leggono nei suoi lavori i canoni poetici dei più grandi architetti del secolo scorso che fa suoi e valorizza in scenografie ardite e decisamente teatrali. Nulla passa inosservato e ogni costruzione racchiude un patrimonio di forme matematiche e uno specifico linguaggio che le caratterizza e che Zaha descrive e realizza attraverso percorsi informatizzati. Anche in Architettura l'uso dello strumento informatico consente a questo punto, non solo di controllare percorsi e risultati, ma di aiutare il progettista in tutte le fasi del suo lavoro fino alla forma da realizzare. I suoi progetti – così confezionati – sembrano strutture più adatte a un film di fantascienza che ad un luogo in cui ogni essere umano vorrebbe vivere. Creazioni di grande impatto visivo, di suggestiva immagine. Zaha genera la forma partendo dal segno, dalla linea. Una sorta di atto creativo che poi riempie tutto lo spazio attraverso strutture avveniristiche, dove l'architetto osa anche l'impossibile e il matematico spazia all'interno delle geometrie. Alla domanda che le abbiamo rivolto "Quanto la sua conoscenza della Matematica ha inciso nella sua creatività e nelle sue scelte progettuali?", Zaha -carismatica e mediatica, ma allo stesso tempo evanescente e sfuggente – risponde laconicamente, con un sorriso, "Molto!"