Non femminismo, ma giustizia: Amalia e Gabriele Torelli

Il nome di Gabriele Torelli (1849-1931) dirà probabilmente poco anche a chi si occupa di storia della matematica.

Della sua vasta produzione scientifica non rimane molto: ci si può imbattere, forse, nella sua ampia monografia, Sulla totalità dei numeri primi fino ad un limite assegnato, dedicata alla teoria dei numeri e più precisamente a problemi relativi alla distribuzione dei numeri primi. Questa memoria ebbe ai suoi tempi un’ampia risonanza in quanto dava un resoconto esaustivo delle numerose ricerche sul settore e veniva pubblicata poco dopo la risoluzione, nel 1896, della celebre congettura di Gauss ad opera di Hadamard e di La Vallèe Poussin. Purtroppo, nel 1909, il suo lavoro fu completamente assorbito dal monumentale trattato di Edmund Landau, Handbuch der Lehre von der Verteilung der Primzahlen.

Leonard Eugene Dickson nella sua History of the Theory of Numbers del 1919, a proposito della distribuzione analitica dei numeri primi, rinvia all’Handbuch di Landau e all’ «extensive report» di Torelli.

Anche se Gabriele Torelli non rientra nella categoria di quegli intelletti che aprirono prospettive profondamente innovative, è da ritenersi un eccellente scienziato che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, formò, con il suo insegnamento nel settore del calcolo differenziale e dell’analisi algebrica, presso le università di Palermo prima e di Napoli poi, generazioni di ingegneri e matematici: ricordiamo per tutti Giuseppe Bagnera, Michele de Franchis, e soprattutto Michele Cipolla.

Ma qui non vogliamo parlare né della sua produzione scientifica né dei suoi allievi, vogliamo parlare di ciò che, come lui stesso scrive, molti qualificavano per femminismo ma che lui definiva giustizia.

Un evento decisivo della vita di Torelli fu, il 26 agosto del 1883, il matrimonio con Amalia Fergola. Amalia apparteneva ad una delle famiglie che ha lasciato nella storia dell’Ottocento napoletano una traccia significativa. Era figlia di Emanuele, astronomo e professore di analisi presso l’università di Napoli. Facevano parte del suo nucleo familiare anche Nicola Fergola, il celebre matematico vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, e Francesco, il geodeta morto fulminato sul Monte Antennammare, a metà dell’Ottocento durante delle operazioni di rilevamento per la costruzione della carta topografica del Regno delle due Sicilie.

Amalia Fergola (1902)

 

Amalia, che si dilettava di poesia e le cui composizioni erano state apprezzate, nel 1877, anche da un fine poeta come Giacomo Zanella, diventerà un punto di riferimento fondamentale per Gabriele: al centro degli interessi di entrambi sarà un vasto e armonioso nucleo familiare.

Amalia spingerà Gabriele a proseguire, malgrado le difficoltà, i suoi studi; «Senza esitare segui la via onorifica che ti si apre» gli dirà per convincerlo ad accettare la supplenza universitaria offertagli da Nicola Trudi a Napoli.

Tra il 1884 e il 1890, nascono sei dei loro 11 figli: Ruggiero, Manfredi, Filiberto, Pia, Quintino ed Eva. Scrive Torelli: «Comprendemmo mia moglie ed io i gravi obblighi, che il rapido accrescimento della famiglia ci imponeva, e senza scoraggiarci anzi con animo forte li assumemmo, ce li distribuimmo fra noi due, e procedemmo fidenti nella vita che la Divina Provvidenza ci assegnava.»

Gabriele dovette intensificare la sua produzione scientifica, necessaria per la carriera universitaria, e la sua beneamata compagna volle che all’austera voce della scienze si unisse quella armoniosa della poesia: Amalia gli sarà vicino nelle lunghe ore di studio notturno, impegnata in lavori di ricamo.

Nel 1891 il successo arride a Torelli: si trasferirono a Palermo, in seguito alla sua nomina a professore straordinario di Algebra complementare.

A Palermo ebbero anche un’intensa vita sociale che li mise in contatto con gli ambienti più esclusivi della città. Nacquero qui, tra il 1892 e il 1900, gli ultimi cinque figli: Ugo, Ester, Beatrice, Guido e Renato.

A turbare profondamente la serenità della famiglia Torelli fu però la morte nel 1906, per meningite, della figlia Ester; Amalia, orgogliosa della sua famiglia e dei tanti figli, fu profondamente scossa e sembrò addirittura presa da momentanea follia.

Nel 1907 Torelli ottenne il trasferimento a Napoli, ma il rientro purtroppo coincise con un altro evento inaspettato e dolorosissimo: Amalia morì per un gravissimo attacco uremico, all’età di 46 anni, il 7 gennaio 1908.

In un opuscolo, In memoria di Amalia Torelli Fergola, pubblicato nel 1909 dalla Tipografia Matematica di Palermo del caro amico Giovan Battista Guccia, e distribuito ai parenti e agli amici più intimi, Gabriele riassume la breve vita della moglie, i suoi nobili pensieri, la solerta sua opera di madre di famiglia.

famiglia Torelli (prima fila i tre figli in piedi da sinistra: Filiberto, Manfredi, Ruggero; seconda fila da sinistra: Quintino, Guido, Ugo, Amalia, Renato, Gabriele, Pia, Bice, Ester, Eva)

 

Ma Gabriele va al di là della semplice commemorazione: con parole semplici e chiare, esprime il loro pensiero, quello suo e di Amalia, sul ruolo sociale della donna, che, a più di cento anni di distanza, risulta, per certi aspetti, così incredibilmente moderno e attuale.

«[…] Le fasi della mia carriera ci avevano ivi [Palermo] menati, e vi trovammo accoglienze cordiali, e larga ospitalità. E certo, oltre alle buone disposizioni delle tante famiglie che colà ci divennero amiche, il carattere schietto e compiacente di Amalia valse a conciliar su tutti noi la generale simpatia. Lì trascorsero alcuni anni in cui ella si sentiva felice: una maggiore attività intellettuale maturava intanto nella sua mente pensieri su cui avea sempre meditato.

Quante volte la sera nel riposarsi dopo le domestiche occupazioni che l’intera giornata l’avean tenuta in esercizio, ella si compiaceva di esporre le sue idee e discuterle passeggiando sulla terrazza di casa, alla vista dell’incantevole panorama della Conca d’Oro, fra il profumo dei fiori d’arancio! Il discorso per lo più prendeva le mosse da problemi sulla educazione e sulla morale.

I nostri modi di vedere non sempre erano identici, ma d’ordinario l’uno rendeva completo l’altro. Lungi da noi era quella intransigenza che non permette all’opinione opposta di esplicarsi. Ogni mente che pensa, guardando dal suo punto di vista, non vede che solo da un lato l’obbiettivo che completa: occorre sentire le impressioni da parecchi punti di veduta per riuscire a formarsi concetti esatti sulle questioni. Laonde l’intolleranza, anzi che segno di carattere fermo, è indizio di mente angusta e vana. Fra noi più volte è avvenuto nelle divergenze che, dopo la discussione, le idee di ciascuno si temperavano, e si modificavano.

La maggior parte degli uomini della generazione anziana, e molti anche della più giovane, nella vita coniugale, abborrono la donna ragionatrice: vogliono che la moglie sia assorbita interamente nell’esistenza del marito; dal canto loro lasciano come campo libero all’iniziativa muliebre solo quello delle frivolezze e dell’economia domestica; pel resto nessuna indipendenza di pensiero concedono; e per ridurre la mente della donna a questa supina passività essi la inducono pure alla esagerazione delle pratiche di culto, che riduce la credenza a una vuota e non vivificante forma, mentre d’altra parte riserbano a sé la facoltà di ripudiare più o meno apertamente qualsiasi fede religiosa.

Questo metodo può fornire, al massimo, la buona massaia, non la compagna fidente, la consigliera fidata, ma spesso produce la donna oca, o la donna mentitrice e ipocrita. Oggi poi si va rendendo inattuabile per via della diffusione e dell’aumentata intensità della cultura fra le donne. Queste cause unite al fermento, che, ad onta di tutte le resistenze, rinnova l’ordinamento sociale, finiranno per fare sparire la preponderanza dell’uomo nella famiglia e nella società, restringendo la differenza delle attribuzioni dei due sessi a quanto indispensabilmente impone la diversa loro natura.

È spesso una presunzione di infallibilità, che ci fa prevedere la ruina quando sentiamo che si pensa di incardinare i futuri ordinamenti sociali diversamente da quelli che, almeno colla nostra acquiescenza, abbiamo contribuito a mantenere. Invece di opporci alle novità limitiamoci a cooperare efficacemente acciocché coloro, i quali lavorar dovranno alla rimozione dagli antichi cardini, siano migliori di noi.

Queste idee ella veniva illustrando nelle nostre conversazioni, ma ecco più particolarmente i principali soggetti, che proponeva di esaminare. […]

Quale è il mezzo più acconcio per rimuovere dalla donna il pericolo di dover accettare il matrimonio per collocamento, e porla in grado di potere, liberamente e senza preoccupazioni per l’avvenire, respingere chi, dopo avere sciupati i migliori suoi anni in una vita disordinata, chiede la mano di lei quando è già logoro sia dal lato morale che dal fisico?

Non è enorme prepotenza che uomini così arrivati al matrimonio poco si sentano legati dalla fede coniugale, e si arroghino il diritto di punir colla morte la colpa della moglie? È civile la società, in cui il delitto passionale può fino riscuotere applausi?

La così detta cavalleria verso le donne è un segno di vero rispetto al loro sesso? o è insufficiente risarcimento a tanti torti che loro si infliggono, e non cela tante volte un’insidia?

E proseguendo in ordine all’educazione dei figli maschi, come crear l’ambiente, in cui non si avveri l’ingiustizia che certi mercati, mentre fan bollare con marchio d’infamia chi vende, non sì ascrivono in alcuna guisa a colpa di colui che compra, la riputazione del quale non si ritiene per nulla offuscata?

È fuori dubbio che almeno alcune delle questioni sono di natura complicatissima, e che si è ben lungi dal poterle risolvere; ma sarebbe cinismo rispondere ai precedenti interrogativi col dar dell’ingenuo e col soggiungere che questo mondo è andato sempre nel verso che ha fatto e farà comodo ai più forti, e infine che la giustizia …. è necessità attendersela nell’altro mondo.

Invece è da riflettersi che le domande stesse danno luogo ad una sterminata serie di considerazioni, le quali, se entrassero nella coscienza universale, produrrebbero una riforma dei costumi, che, avvantaggiando la sana morale eleverebbe la condizione della donna.»

Dell’evolversi nella mente di Amalia di queste idee e di altre affini si trova traccia anche in alcuni suoi versi, spesso pieni di malinconia:

 

Tormento

[…]

E quando, del mio cor gemello core,

A te mi chiami colle tue carezze,

Io penso a quelle, cui negossi amore,

Cui della vita si vietar le ebbrezze.

 

Io penso a quella, cui fu colpa fede,

Cui fu delitto l’essere ingannata,

E che al mondo crudele indarno chiede

Non esser col suo bimbo condannata

 

Agli stenti, alla fame, al vitupero.

Ma lei, pentita, al fango suburrano

Spietatamente danna il mondo austero

E assolve il seduttor perfido e vano!

 

Or non chiedermi più perché nel volto

Invano cerchi il mio sorriso lieto:

Or non chiedermi più perché sepolto

Dietro la fronte mia tace un segreto.

 

Gli strali, avversi a me, io non pavento:

Ogni altro senso in me pietate ha ucciso

Ma giungemi nel cor come un tormento

Ogni ebbrezza, ogni luce, ogni sorriso!

 

(Palermo, ottobre 1905)