RICORDANDO FRANCESCO SPERANZA PERCHÉ LA MATEMATICA HA BISOGNO DELLA FILOSOFIA

RICORDANDO FRANCESCO SPERANZA

PERCHÉ LA MATEMATICA HA BISOGNO DELLA FILOSOFIA

 

di Carlo Veronesi

In un "vecchio" editoriale di Lettera Matematica Pristem (n. 44), si prende atto del successo che in questo periodo accompagna film e libri che parlano di personaggi della Matematica, ma ugualmente ci si chiede se il pensiero matematico contribuisca alla comprensione della società attuale e alla elaborazione di nuove idee e paradigmi culturali. L'editoriale ricorda un passato non lontanissimo in cui la Matematica - con Russell, Cassirer , Wittgenstein - riusciva ad entrare con autorevolezza nella Filosofia e nel dibattito generale. Oggi sembra che, superata la tensione verso i fondamenti e le idee portanti, si senta (specialmente in Italia) la mancanza fra i matematici di qualche grande figura, o di qualche grande scuola, che sappia affiancare ai risultati tecnici una visione generale e offrire interpretazioni dotate di impatto anche al di fuori del proprio ambito disciplinare. La scienza sembra dialogare direttamente con la società, senza la tradizionale mediazione della Matematica. Il pensiero matematico non appare più in grado di entrare nel dialogo fra le "due culture" e sembra ormai confinato ai margini del dibattito generale.

Questi accenti preoccupati mi hanno richiamato alla mente, a cinque anni dalla scomparsa, il ricordo di Francesco Speranza e quello che è stato il carattere distintivo della sua attività di ricerca, didattica e divulgazione: cioè il progetto - quanto mai attuale - di rompere l'isolamento di cui soffre la Matematica, per restituire dignità e significato a una materia che può rivendicare un posto centrale nella cultura, al confine fra le discipline scientifiche e quelle umanistiche.

speranza 

Francesco Speranza

Da qui la sua ricerca delle interazioni della Matematica non solo con la Fisica o le Scienze ma anche, e specialmente, con la Linguistica, la Psicologia, la Filosofia, le Arti figurative. Di quest'ultima sua proposta, che non ebbe il tempo di sviluppare in modo adeguato, ci restano solo alcune pagine introduttive.

"In un campo disciplinare- scrive Speranza- gli studiosi sentono spesso la necessità di definire dei paradigmi, fino a stabilire degli steccati nei confronti di discipline anche affini(...). Mi sembra venuto il momento di ampliare questo orizzonte. Il passo più naturale mi sembra quello di volgere la nostra attenzione ad alcune grandi correnti della filosofia contemporanea. Una delle tendenze più importanti mi sembra l'ermeneutica: potremmo dire l'arte dell'interpretazione. Nei primi tempi, essa si è sviluppata in contrapposizione al pensiero scientifico, sulla base di un contrasto fra "scienze della natura" e "scienze dello spirito" (la Matematica essendo d'ufficio aggregata alle prime). Ora tutto ciò mi sembra superato, se non altro perché sono evidenti i motivi di interpretazione del pensiero scientifico".[1, p.VI]

La dicotomia fra scienze della natura e scienze dello spirito, di cui parla Speranza nel passo citato, si può far risalire al filosofo Wilhelm Dilthey (1833-1911). L'ermeneutica sarebbe alla base di quelle scienze che si occupano non di fenomeni naturali e di oggetti esterni all'uomo, ma di produzioni dello spirito umano, che si depositano in testi e documenti e che l'interprete è chiamato a far rivivere [2, pp. 9-10].

In linea con questa rigida separazione fra mondo esterno (che si può indagare ed esplorare solo dal di fuori, alla ricerca di leggi generali che lo rendano intelligibile) e mondo interno (che riguarda azioni e produzioni umane), Dilthey aveva anche adottato la distinzione fra spiegazione, propria delle scienza della natura, e comprensione, propria delle scienza delle spirito. La comprensione sarebbe qualcosa di meno certo ma di più profondo della spiegazione: perché comprendere il significato di un'opera è anche comprendere la visione del mondo dell'autore e di un certo periodo storico. Secondo Hans Georg Gadamer (che attualmente è la principale figura di riferimento quando si parla di ermeneutica: si veda p. es. [3]), comprendere significa qualcos'altro ancora: certamente richiamare l'argomento coinvolto e ricreare le intenzioni iniziali incorporate dall'autore, ma anche spostare il testo oltre le sue origini psicologiche e il suo contesto storico, conferendogli un significato autonomo ed ideale che viene elaborato e rielaborato dal lettore. Dunque la comprensione si accompagna generalmente a un procedimento di interpretazione.

Karl Popper non accetta la tesi che comprendere (e interpretare) sia lo scopo delle sole discipline umanistiche. Questo è anche lo scopo delle scienze, anche se si tratta di un tipo di comprensione leggermente diverso. Secondo Popper, la mente dello scienziato non deve essere pensata come un "recipiente" in cui si depositano passivamente percezioni e osservazioni. La mente umana deve essere vista piuttosto come un "faro", cioè come fonte primaria di aspettative e di ipotesi che illuminano le osservazioni e le esperienze. In questo Popper riprende una concezione di Kant, secondo il quale il mondo esterno della natura è accessibile alla conoscenza umana solo sulla base di un apparato trascendentale interno all'uomo, principalmente attraverso le categorie "a priori" dello spazio e del tempo. La lettura del mondo esterno avviene attraverso occhiali spazio-temporali modellati sulla Geometria euclidea e sulla Meccanica newtoniana. Popper sostiene anch'egli una posizione "attivista" di tipo kantiano. Una teoria (un atteggiamento mentale) deve precedere l'osservazione. Ma Popper- in linea con la proprie idee fallibiliste- aggiunge che le osservazioni possono sempre smentire le nostre teorie:

"Kant - scrive Popper- credeva che le leggi di Newton fossero da noi imposte con successo alla natura: che fossimo costretti a interpretare la natura secondo queste leggi; dal che concludeva che dovevano essere vere a priori (...). Dopo Einstein tuttavia, sappiamo che sono possibili anche teorie assai diverse e interpretazioni differenti, e che queste possono risultare anche superiori a quelle di Newton. La ragione è dunque capace di più di una interpretazione e non può imporne alla natura una propria, una volta per tutte. [4, pp. 329-330, corsivo nostro].

Popper ci porta dunque a riconoscere una storicità nel trascendentale kantiano. Tuttavia molti studiosi negano che si possa parlare di storia della scienza allo stesso modo in cui si parla di storia dell'Arte o della Letteratura. E' vero che anche le teorie scientifiche apparentemente più neutrali possono recare l'impronta e perfino lo stile del loro autore, ma questi elementi individuali non sono essenziali nel processo oggettivo della scienza. Lo scienziato può elaborare le proprie congetture in modo autonomo e personale, ma il ricorso alla natura (che può provvisoriamente accettarle oppure falsificarle suggerendone di nuove) è comunque un vincolo ineliminabile. La scienza è alla ricerca di leggi generali, di invarianti, anche se queste possono a loro volta variare [5, pp. 291-292]. Per la scienza sarebbe perciò più appropriato parlare di evoluzione, anziché di storia: il passaggio da una teoria scientifica ad un'altra non comporta soltanto un cambiamento, ma anche un progresso, cioè la sostituzione di una teoria con una teoria migliore.

Sottintesa a questa idea, apparentemente scontata, del cammino progressivo della scienza, c'è una convinzione di fondo: le teorie scientifiche, che si succedono, si appoggiano a una razionalità condivisa e a un linguaggio comune che non lascia spazio a fraintendimenti. Posta la questione in questi termini, non ci sarebbe bisogno di ermeneutica nella scienza: in claris non fit interpretatio.
Ma è proprio quest'idea che Thomas Kuhn respinge quando parla di "incommensurabilità" fra teorie scientifiche. Durante le rivoluzioni scientifiche, nel passaggio da una teoria a un'altra radicalmente diversa, si realizza anche una svolta semantica: i termini cambiano, anche se sottilmente, il loro significato e le loro condizioni di applicabilità. Sebbene la maggior parte degli stessi vocaboli (per esempio forza, massa, elemento, composto, ecc) siano usati prima e dopo una rivoluzione, cambia il modo in cui essi aderiscono alla natura [6, pp. 352]. Questa nuova interpretazione dei termini, che rendono le teorie scientifiche tra loro incommensurabili, è legata al fatto che accanto ai lunghi periodi di scienza normale, esistono periodi eccezionali di scienza straordinaria. Scienza normale è il periodo in cui l'attività degli scienziati si muove all'interno di un paradigma affermato, risolvendo problemi di routine, seguendo criteri razionali e metodi collaudati. Ma nei periodi straordinari delle rivoluzioni, in cui un vecchio paradigma viene abbandonato per far posto a una nuova organizzazione del sapere, non il singolo ricercatore ma tutta una comunità scientifica aderisce alla teoria emergente seguendo motivi che non sono soltanto razionali, sull'onda di un travolgente consenso generale che assomiglia ad una sorta di conversione collettiva. Non esiste un linguaggio neutro dell'osservazione, che consenta una scelta di tipo "algoritmico" fra teorie in competizione. Gli scienziati scelgono di giocare il nuovo gioco linguistico, anche senza sapere come questo si traduca nelle regole del vecchio.

Prendendo spunto da queste idee di Kuhn, Richard Rorty sostiene che epistemologia ed ermeneutica entrano entrambe in gioco nello sviluppo della scienza. L'epistemologia riguarda il discorso scientifico normale e di routine, ma nei periodi straordinari e creativi delle rivoluzioni è l'ermeneutica ad entrare come parte essenziale e costitutiva del discorso scientifico. Ermeneutica intesa come tentativo di dare significato a ciò che si sta sviluppando al di fuori delle regole e come "discorso su discorsi che si suppongono incommensurabili" [7, p. 266]. La linea che separa i campi dell'epistemologia e dell'ermeneutica - il discorso normale dal discorso straordinario non ha nulla a che fare con le differenze fra scienze della natura e scienze dell'uomo. Sia nelle discipline umanistiche che in quelle scientifiche, si incontrano periodi di normalità (di produzioni manieristiche, scontate o conformiste) e periodi di straordinarietà, in cui invece trovano spazio il cambiamento, la creatività, la capacità di scoprire nuove idee e nuovi significati.

Se per molti studiosi suona troppo forte l'affermazione che nelle scienze della natura si possa parlare di ermeneutica nello stesso senso in cui se ne parla per la conoscenza storica, artistica o letteraria, resta comunque vero che sia le discipline che sia occupano di scienze della spirito, sia i saperi che si occupano di scienze della natura, si depositano in testi scritti. E il procedimento ermeneutico riguarda principalmente il rapporto fra un testo e un fruitore. E' proprio su questo aspetto, che Speranza richiama ancora la nostra attenzione: "fra i motivi che dovrebbero differenziare il pensiero scientifico da quello ermeneutico (e dalle scienze dello spirito) Gadamer segnala in particolare il rapporto fra noi e un'opera d'arte in contrapposizione alla conoscenza scientifica (...). Secondo Gadamer, davanti a un'opera d'arte "siamo presi in un gioco"; l'opera "ci trasforma"; inoltre l'arte non è tale se non esistono dei fruitori. Ebbene questo può dirsi anche di un'opera, di una teoria scientifica. Anch'essa se è valida ci trasforma, anch'essa sollecita interpretazioni(...). Anche per una trattazione scientifica l'esistenza di un fruitore (...) non solo è essenziale ma riapre un nuovo discorso interpretativo."

Dunque il lettore, l'interprete, può trovare significati nascosti e forse nemmeno pensati dallo stesso autore. A questo proposito, Speranza ricorda gli Elementi di Euclide e il Commento di Proclo proprio per "il suo sistema di riflessioni che vanno al di là di quanto è alla lettera contenuto nel testo base" e che in qualche modo continuano e completano l'opera del maestro.[8]

Allora se seguiamo Gadamer, dobbiamo pensare che il significato di un testo non sia fisso, ma cambi nel tempo a seconda di come è recepito e letto. L'ermeneuta, confrontandosi con il testo, trasforma la sua visione iniziale e il suo orizzonte interpretativo ma nel contempo spinge il testo oltre il suo orizzonte originale finché i due orizzonti - dell'autore e dell'interprete - si fondono: capire è capire diversamente dalle proprie prime interpretazioni e anche diversamente dall'autore. Speranza ci ricorda che, quasi otto secoli dopo Euclide, Proclo fornisce una interpretazione della sua geometria alla luce della filosofia neoplatonica: le figure geometriche sono immagini mentali che vediamo con gli occhi della mente, a metà strada fra i concetti del mondo delle idee e la loro realizzazione nel mondo reale.

Per fare un altro esempio, vicinissimo a noi, possiamo accennare a un'altra interpretazione della Geometria euclidea - questa volta di stampo più empirista - dovuta a Federigo Enriques. Nella sua concezione, la Geometria è intesa come parte (o primo capitolo) della Fisica. "i teoremi della Geometria teorica appariscono soltanto come l'espressione simbolica di rapporti fisici" [9, p. 158 e segg.] e la loro verifica diretta non può superare un certo grado di approssimazione. Facendo riferimento, per esemplificare, al teorema sugli angoli alla base di un triangolo isoscele [Proposizione 5 del Libro I degli Elementi di Euclide] Enriques ne fornisce una traduzione empirica: "se due lati di un triangolo differiscono per meno di un certa lunghezza epsilon, i due angoli opposti differiranno per meno di una quantità tau, dipendente da epsilon secondo una certa legge". Enriques aggiunge che nel controllo di questa affermazione su un gran numero di costruzioni grafiche, e di triangoli fisici, si potrà trovare qualche eccezione (dovuta all'imperfezione dei modelli o all'imprecisione delle misure), ma in generale si constaterà una regolarità statistica che conferma il teorema.

Siamo partiti da considerazioni sul rapporto tra scienza ed ermeneutica per arrivare a parlare di un testo, il testo per eccellenza della Geometria. Se ora pensiamo a un testo di Matematica in senso lato, quale contributo può offrire l'ermeneutica? Il discorso ermeneutico potrebbe sembrare più libero dato che in Matematica, diversamente che per le altre scienze, il richiamo alla natura può essere opzionale. Ma potrebbe anche essere inteso in senso più tecnico e ristretto. Se pensiamo che i sistemi assiomatici definiscano implicitamente i propri oggetti, potremmo dire che una nuova interpretazione è un qualunque modello che soddisfi gli assiomi. Ma, per il discorso che stiamo portando avanti, dobbiamo andare oltre le angustie di questa visione formalista.
Si dice che, al fine di ricostituire i connotati umanistici delle teorie matematiche, occorre riportarle alle loro origini intuitive, situarle nel loro contesto storico, nella vita dei creatori, nello sviluppo delle civiltà e delle culture in cui sono nate. Si chiede cioè di privilegiare la cosiddetta fase della scoperta, in contrapposizione alla fase della giustificazione, che riguarderebbe le teorie matematiche come prodotti finiti. Ora il procedimento ermeneutico ci dice che una teoria matematica non è mai "finita", che un testo classico di Matematica non resta per sempre prigioniero di se stesso. I testi e le teorie possono conoscere stagioni di rinnovato interesse, per ragioni che possono andare anche oltre lo stretto dominio matematico. Nelle fasi dell'interpretazione, le teorie matematiche possono evolvere verso nuove attribuzioni di significato, alla luce di nuove filosofie o di nuovi paradigmi culturali.

Certo queste grandi operazioni - queste riletture o riscritture della Matematica - non sono certamente alla portata del fruitore comune. Occorrono, come è sottolineato nell'editoriale richiamato all'inizio, grandi figure o grandi scuole. Occorre qualche fruitore straordinario. Tuttavia, questa condizione necessaria potrebbe anche non essere sufficiente. Per chiarire questa opinione personale, possiamo riferirci a un progetto a noi vicino nel tempo: la grande riorganizzazione unitaria della Matematica, intorno alla idea di struttura, operata dal gruppo Bourbaki. Il progetto, nato per esigenze interne alla Matematica, si inserì nel più ampio movimento culturale dello strutturalismo, che interessò anche la Psicologia, l'Antropologia, la Linguistica, la Letteratura. L'antropologo Claude Lévi-Strauss collaborò con il matematico André Weil su problemi relativi alla strutture della parentela e lo psicologo Jean Piaget pensò di utilizzare le struttura madri della Matematica come modello di strutture psicologiche fondamentali (comuni al funzionamento di ogni mente umana) dopo un incontro-conferenza con Jean Dieudonné.

E' vero dunque che, per inserirsi nel dibattito generale, la Matematica deve essere in grado di reinterpretare se stessa. (Bourbaki riuscì a a individuare strutture trasversali a diversi capitoli della Matematica e poi, sovrapponendo e specializzando queste strutture, a riottenere le discipline della Matematica classica). Tuttavia, perché queste operazioni di autointerpretazione abbiano un impatto al di fuori del campo matematico , occorre che ci sia una movimento culturale di riferimento. O, meglio, che il mondo della cultura si interessi alla Matematica e sappia dialogare con essa.
Se invece, per tornare all'attualità, non ci sono una Filosofia o un clima culturale in cui la Matematica possa inserirsi, è quasi inevitabile che essa si riduca a materia di servizio per le applicazioni tecniche o ripieghi su se stessa e sui propri tecnicismi. Se la voce della Matematica non si sente nel dibattito attuale, se non riesce ad essere anello di congiunzione fra la cultura umanistica e quella scientifica, questo mi sembra dovuto al fatto - sotto gli occhi di tutti - che entrambe queste culture sono trascurate e quasi emarginate in una società come la nostra. La Matematica non può fare da sola: la crisi della Matematica è la crisi della cultura.

  lettore BIBLIOGRAFIA

di Carlo Veronesi

  1. Speranza F.: "Appello all'ermeneutica", Quaderni di ricerca in didattica, n.°8, Palermo 1999.
  2. Ferraris M.: L'ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 1998.
  3. Gadamer H. G.: Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983.
  4. Popper K. R.: "Lo status della scienza e della metafisica", Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972.

  5. Fano V., Tarozzi G.: "Ermeneutica e fisica moderna", Hermeneutica, 1977, pp. 277-296
  6. Kuhn T.S.: "Riflessione sui miei critici", in Lakatos I. - Musgrave A. (a cura di): Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976.
  7. Rorty R.: La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano 1983.
  8. Speranza F.: "Opere letterarie e testi scientifici. Un caso esemplare: gli Elementi di Euclide e il Commento di Proclo"- abstract per il Convegno SILFS 1999 (reperibile sul sito della SILFS http://silfs.cs.unitn.it/abstracts-SILFS-99.html).
  9. Enriques F.: Problemi della scienza, Zanichelli, Bologna 1985 (ristampa anastatica)
  10. Proclo, Commento al I Libro degli "Elementi" di Euclide, Giardini Editori e stampatori, Pisa 1978.

BIOGRAFIA di FRANCESCO SPERANZA

di Carlo Veronesi

speranza

Francesco Speranza nacque a Milano il 4 ottobre 1932. Si laureò a Pavia, come alunno del Collegio Ghisleri, nel 1954. Fino al 1967 fu assistente di Mario Villa alla Università di Bologna. Poi divenne Professore a Messina e successivamente a Parma, prima di Geometria e poi di Matematiche Complementari. Le sue prime pubblicazioni scientifiche riguardano la Geometria differenziale e la Teoria dei Grafi. Dagli inizi degli anni '70 si occupò di didattica della Matematica, scrivendo libri di testo per tutti gli ordini di scuole, e di divulgazione (è di questo periodo il prezioso volumetto "Relazioni e strutture" edito da Zanichelli). Negli anni '80 cominciò a sentire particolarmente l'esigenza di approfondire le basi filosofiche e la valenza culturale della Matematica e, a tal fine, nel 1989 costituì il Gruppo Nazionale di Epistemologia della Matematica, che per diversi anni, con cadenza semestrale, organizzò incontri di studiosi, su temi di Filosofia, Storia e Fondamenti , presso varie Università italiane.

Nelle sue numerosissime pubblicazioni di carattere epistemologico, Speranza, pur rivendicando per la Matematica un ruolo fondamentale nella cultura, restò sempre ancorato a una concezione filosofica "non assolutista", secondo cui la Matematica deve essere vista come una costruzione umana, problematica e in evoluzione.Una significativa raccolta dei questi articoli è contenuta nel volume "Scritti di Epistemologia della Matematica"( Pitagora , Bologna 1997).

Francesco Speranza è stato membro, fra l'altro, della Commissione Scientifica dell'UMI, della Commissione Italiana per l 'Insegnamento della Matematica, del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. La sua notorietà andò oltre i confini del nostro Paese, come testimonia il fatto che sia stato l'unico nome italiano inserito in un dizionario, lo "European Biographical Directory", edito in Belgio.

Scomparve prematuramente il 19 dicembre 1998, quando aveva cominciato a lavorare intorno ad una nuova idea, a un progetto che andasse oltre l'epistemologia, per collegare la Matematica a una delle principali correnti della filosofia contemporanea, vale a dire l'Ermeneutica. L'articolo pubblicato da "Lettera Pristem" cerca di far luce su queste ricerche rimaste incompiute.