Ricordo di Carlo Bernardini

Lo scorso 21 giugno è scomparso all'età di 88 anni Carlo Bernardini, fisico dell'INFN e professore emerito al Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma "Sapienza". Con la sua scomparsa se ne va un pezzo di storia scientifica e intellettuale del nostro Paese. Di seguito un ricordo di Luisa Bonolis.

 

Con la scomparsa di Carlo Bernardini se ne va un pezzo importante di storia della fisica e della cultura scientifica nel nostro Paese, la storia di un'era nuova per la fisica italiana, inaugurata tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta da Enrico Fermi a Roma e da Bruno Rossi a Firenze.

Allievo degli allievi e collaboratori di Fermi e Rossi, Carlo Bernardini si è formato alla scuola di Gilberto Bernardini, Edoardo Amaldi, Enrico Persico, Bruno Ferretti, e più tardi di Bruno Touschek. Ha partecipato agli anni della ricostruzione contribuendo come giovane fisico alla riconquista su nuove basi della posizione di eccellenza che aveva caratterizzato la fisica italiana degli anni trenta, declinando la sua attività di ricerca in un profondo connubio intellettuale tra l'impegno critico, culturale, sociale e l'insegnamento come alta missione.

Era nato il 22 aprile 1930 a Lecce, città a cui rimase straordinariamente legato per tutta la vita, da una colta famiglia di intellettuali antifascisti e anticlericali, in tempi e luoghi dove però la scienza non era davvero di casa. Grazie alla premura di suo padre, notaio, diventa un appassionato lettore di enciclopedie per ragazzi: "Le enciclopedie, che divoravo, occupavano il mio tempo; tutto ciò che può affascinare un bambino era lì, e io lo cercavo avidamente: migliaia di pagine, a dieci anni o poco più."1 Aveva una grande passione per la matematica, ma la fisica scolastica gli appariva pedante. Una vera e propria rivelazione fu invece La fisica di Carlson, nell'edizione del 1945, un libro "lieve e perspicuo", a cui doveva "ogni successiva curiosità" e che restò sempre come "reliquia" nella sua biblioteca personale. Alla fine della guerra, la notizia delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki attira la sua attenzione sulla fisica nucleare e sul rapporto di Henry DeWolf-Smyth, Energia atomica, che legge nella versione italiana del 1946, anche questo divenuto un classico della sua biblioteca. Da ragazzo legge e studia con grande passione, quasi con accanimento, completando con due anni di anticipo il percorso scolastico. Contro il parere di suo padre che lo vorrebbe notaio, decide di dedicarsi allo studio della fisica a Roma, anche sotto la suggestione del mitico Enrico Fermi di cui ha sentito parlare.

Bernardini arriva all'Università Sapienza di Roma nel 1947, quando ha appena diciassette anni. Inizialmente è attratto dall'idea di iscriversi a matematica e segue le lezioni di grandi maestri come Mario Picone, Antonio Signorini, Aldo Ghizzetti, ma resta immediatamente folgorato dal "fascino irresistibile" delle lezioni introduttive del corso di Fisica generale tenute da Gilberto Bernardini:

"…un attore insuperabile, che univa fisica, storia, letteratura, filosofia e arti visive. Recitava Dante, citava Galilei, illustrava la figura di Newton, richiamava Platone o Kant, proiettava Michelangelo o Raffaello con l'antidiluviano epidiascopio dell''aula grande'… Chiaramente il suo intento era quello di dare un contesto culturale completo al principio di inerzia o al teorema del viriale o alla conservazione della quantità di moto. Si percepiva che sapeva molte ma molte più cose di quelle che ci andava raccontando; e anche questo contribuiva a creare la sensazione che si dovesse fare l'impossibile per adeguarsi… Per 'essere come Gilberto' m'immersi in un mare di letture eterogenee ma ormai finalizzate a fare da complemento alla fisica e alla matematica".

Per Bernardini fu un insegnamento indimenticabile: "…toccava le corde più riposte dell'intuizione e della razionalità. Mi trasferii precipitosamente da Matematica a Fisica: fu come lasciare un solenne ricevimento ufficiale per andare in trattoria con gli amici...". L'istituto di Fisica diventa la patria e la sua casa, "il posto dove vivevano i maestri". Il secondo anno del corso di Fisica Sperimentale era tenuto da Edoardo Amaldi, che di quella "famiglia" era "l'indiscusso patriarca". Amaldi preparava le lezioni con cura estrema, "mentre Gilberto sembrava improvvisare alla grande", ma "il clima complessivo di questa doppietta di corsi di base… tenuti dai due massimi esponenti della comunità… faceva sì che il nostro coinvolgimento fosse totale." A quell'epoca gli studenti di fisica erano meno di una decina, assistiti quotidianamente da Ruggero (Bibi) Querzoli, allora giovane laureato, con il ruolo di "pedagogo" incaricato di elaborare problemi e di discuterli con loro. Più tardi, al terzo anno, il pedagogo fu Gherardo Stoppini. Il corso che veramente lo entusiasmò fu quello di Fisica teorica tenuto da Bruno Ferretti.

Nell'autunno del '47, quando Bernardini arriva a Roma, l'Istituto di Fisica è in grande fermento. L'esperimento effettuato durante i bombardamenti da Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni ha appena inaugurato la moderna fisica delle particelle elementari, mostrando che le particelle penetranti della radiazione cosmica non sono i mediatori della forza nucleare, come pronosticato dal giapponese Hideki Yukawa.

Più tardi sarà Pancini a parlargli di politica e a convincerlo della necessità dell'impegno politico.

Le ricerche sui raggi cosmici sono diventate una specialità romana, una risorsa preziosa per continuare a mantenere viva la tradizione di ricerca utilizzando le scarse risorse a disposizione e le competenze sviluppate prima della guerra. Il laboratorio della Testa Grigia sul Cervino sta appena cominciando a funzionare e già nella sua prima vacanza estiva da studente di fisica, durante l'estate del 1948, Bernardini si precipita "a cacciare il naso tra i telescopi di contatori Geiger di Carlo Ballario, Giuseppe Fidecaro e Lucio Mezzetti".

Fino alla seconda metà degli anni '50 i raggi cosmici, come sorgente di particelle di alta energia, rimangono il principale strumento per lo studio della materia su scala subnucleare. Ma quest'era gloriosa, inaugurata in Italia da Bruno Rossi, sta oramai tramontando e gli studi si spostano verso gli aspetti astrofisici della radiazione cosmica. La creazione dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), nell'agosto 1951, va di pari passo con l'aspirazione dell'Italia ad avere un acceleratore di particelle in grado di mettere i fisici italiani in condizioni di svolgere ricerche competitive con i migliori laboratori del mondo. La decisione definitiva fu presa nel 1953, sulla base di un progetto esposto da Gilberto Bernardini. Si decise per un elettrosincrotrone, una macchina complementare rispetto al protosincrotrone previsto per i laboratori europei del CERN a Ginevra. Per realizzare la macchina fu costituito un gruppo posto sotto la guida del poco più che trentenne Giorgio Salvini. Insieme a Gilberto Bernardini, Salvini andò in giro per l'Italia alla ricerca "dei primi della classe". Questo gruppo di giovanissimi, appena laureati, insieme a un gruppetto di giovani professori come Ruggero Querzoli, Italo Federico Quercia e Mario Ageno, costituì il nucleo centrale di questa iniziativa In cima a tutti, per anzianità, c'era Enrico Persico, fraterno amico di Enrico Fermi fin dall'infanzia, a capo del gruppo teorico incaricato della progettazione della macchina.

Nel frattempo, nel 1952 Bernardini si era laureato con Ferretti e subito dopo, incoraggiato da Silvia Tamburini, ex compagna di studi di fisica con cui si sposerà di lì a poco, entra in contatto con Persico. Bernardini condivide con lui un grande amore per i gatti e per i libri: "Persico era un bibliomane coltissimo e governava la biblioteca attraverso la signora Cesarina Ferrari… nella biblioteca mi sentivo a mio agio… Ma, appena avevo qualche soldo, compravo libri per me." Bernardini ricorda che già dal 1949 aveva "razziato i bassi napoletani dove gli eredi di grandi matematici riversavano i libri dei defunti di cui non sapevano cosa fare. Mio padre mi finanziava con indulgenza e io compravo a piene mani…". Considerava quei libri la parte più preziosa dei suoi scaffali.

Carlo Bernardini con la moglie Silvia Tamburini e Maria Cervasi in Val d'Aosta nei primi anni cinquanta

 

Nel dopoguerra Persico è tra i numi tutelari della rinascita della fisica a Roma. Lo prende subito in simpatia e gli propone di lavorare con il suo gruppo teorico partecipando all'ambizioso progetto in corso: costruire un elettrosincrotrone e un laboratorio nazionale. Bernardini viene assunto dalla sezione sincrotrone dell'INFN. Il suo primo compito fu quello di calcolare campi magnetici. Mise a punto una tecnica che fu il suo primo lavoro pubblicato e dal '53 al '59 lavorò a ricerche legate al problema di studiare e prevedere tutto quello che poteva accadere al fascio di elettroni circolante nel sincrotrone.

Questa schiera di giovanissimi stava realizzando una impresa del tutto inedita per l'Italia: lanciarsi sulla via degli acceleratori. E quando alla fine degli anni cinquanta l'elettrosincrotrone entra in funzione nei Laboratori Nazionali di Frascati, vicino Roma – una delle macchine più potenti del mondo nel suo genere – Bernardini è tra i protagonisti di una nuova rivoluzionaria impresa il cui ispiratore e principale motore fu Bruno Touschek, un fisico austriaco giunto a Roma all'inizio degli anni cinquanta dopo anni di vita avventurosa e drammatica tra Austria, Germania e Inghilterra: "Bruno attirò giovani come una sirena: i suoi modi insoliti, mitteleuropei, il suo repertorio di aforismi (Karl Kraus soprattutto), lasciavano a bocca aperta, anche perché il suo accento austroitaliano, o italoaustriaco che dir si voglia, era veramente pittoresco…". Inizialmente i loro rapporti furono occasionali. Touschek andava di tanto in tanto a Frascati per vedere come proseguivano i lavori con il sincrotrone. Il problema della perdita di elettroni del fascio circolante a cui Bernardini stava lavorando fu l'inizio della loro collaborazione: "Si interessò anche Bruno al problema e, insieme, ne venimmo a capo… In quell'occasione il nostro sodalizio si rafforzò e Bruno incominciò a mettermi a parte dei suoi pensieri più privati. Con me parlava anche d'altro: politica, letteratura, problemi della comunità accademica. Le sue idee, le sue battute, le sue osservazioni avevano immancabilmente aspetti insoliti, direi eccezionali". Bernardini restò affascinato dalla personalità umana e scientifica decisamente fuori del comune di Touschek: "Mi staccai da Persico, quasi con senso di colpa, e mi legai a Bruno Touschek. Ero diventato un ibrido: i teorici mi trattavano come uno sperimentale che era in grado di comunicare con loro, gli sperimentali come un teorico che progettava esperimenti".

Carlo Bernardini a Frascati nei primi anni sessanta

 

Nel febbraio del 1960, Touschek avanza con grande convinzione la proposta di esplorare una nuova fisica: le collisioni tra elettroni e positroni. Per realizzare l'idea di Touschek viene subito concepito il progetto di costruire un piccolo anello per accumulare fasci di elettroni e positroni e accelerarli in direzioni opposte in una ciambella sotto vuoto estremamente spinto, per farli collidere tra loro e studiare il risultato delle interazioni tra particelle di carica opposta. Una sfida accolta con entusiasmo dai Laboratori di Frascati. Del piccolo team iniziale guidato da Touschek fanno parte Carlo Bernardini, Giorgio Ghigo e Gianfranco Corazza, tutti reduci da anni di preziosa esperienza di progettazione, costruzione e inizio dell'attività sperimentale con l'elettrosincrotrone di Frascati. A loro ben presto si uniranno Bibi Querzoli, Giuseppe Di Giugno, e per qualche tempo Ubaldo Bizzarri. I primi elettroni circolano nell'anello AdA il 27 febbraio del 1961, un bel successo. Ma il sincrotrone non è l'iniettore ideale e AdA viene trasferita in Francia, ai Laboratory di Orsay, dove un acceleratore lineare riesce a ottimizzare il problema di iniettare gli elettroni e i positroni nell'anello. La collaborazione con i francesi arricchisce il gruppo di nuovi membri: Pierre Marin, Francois Lacoste, e Jacques Haïssinski.

Carlo Bernardini è il principale interlocutore di Touschek, come emerge anche dalle note nel "quaderno di bordo" di AdA. Contribuisce in modo essenziale all'identificazione di alcuni problemi e suggerisce delle tecniche per superarli. Per la prima volta al mondo vengono osservate le collisioni elettrone-positrone e viene scoperto l'effetto AdA: la vita di un fascio diminuisce all'aumentare della densità spaziale delle particelle: come conseguenza delle interazioni tra particelle vicine queste perdono energia e vengono espulse dalla traiettoria del fascio. Bernardini collabora con Touschek alla teoria di questo effetto – che limitava fortemente le prestazioni di AdA, rendendo impossibile la produzione di nuove particelle – ma che fortunatamente diminuisce al crescere dell'energia della macchina. Di quello che fui poi denominato effetto Touschek divenne necessario tenere conto in tutti gli acceleratori di particelle costruiti successivamente.

La sperimentazione con AdA nei laboratori di Orsay si concluse nel 1964. Furono anni "assolutamente eccezionali. Per il lavoro, per i rapporti umani, per le soddisfazioni", ricorda Bernardini. Nonostante la sua breve vita scientifica AdA restava una pietra miliare nella storia della scienza mondiale: aveva mostrato che era possibile accumulare per ore fasci di particelle di carica opposta nella camera a vuoto e farli collidere per ottenere nuove particelle. Seguendo l'esempio di Frascati altri collisori vennero costruiti in Francia, Germania, negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, divenendo strumenti fondamentali per investigare la struttura della materia a livello microscopico.

Mentre l'anello AdA era ancora in costruzione, era partito il progetto di un collisore per elettroni e positroni molto più grande, Adone, che, dopo il prologo con AdA, avrebbe definitivamente lanciato l'Italia nella fisica delle alte energie. Ma Adone mancò per un pelo una scoperta fondamentale e divenne fonte di infinita delusione, soprattutto per Bruno Touschek. Nel 1974 due gruppi americani guidati rispettivamente da Sam Ting e da Burton Richter individuarono la particella J/Psi, che fornì una indicazione decisiva per l'esistenza di un quarto quark, il quark charm, una scoperta che fruttò loro il premio Nobel per la fisica nel 1976. Sfortunatamente l'energia massima di Adone era – seppur di pochissimo – al di sotto dell'energia necessaria alla produzione di questa nuova particella. A Frascati fu possibile vederla solo forzando la macchina, ma fu una magra e assai amara consolazione. Bernardini, che era responsabile del coordinamento dell'attività sperimentale su Adone, ricorda che Bruno Touschek ne fu assai turbato, anche se questo successo era dovuto in parte alla nuova era nelle macchine acceleratrici inaugurata dal piccolo pionieristico anello AdA, capostipite di tutti gli anelli costruiti successivamente nel mondo. Il più grande di tutti è il Large Hadron Collider, LHC, che nel 2012 ha permesso di rivelare il bosone di Higgs, previsto dal modello Standard delle particelle elementari e responsabile del meccanismo all'origine della massa delle particelle subatomiche.

Nel frattempo Bernardini aveva avuto un insegnamento a Napoli, ma sentiva la nostalgia dei Laboratori di Frascati – e Bruno Touschek gli mancava molto – così accettò di occuparsi del progetto di Superadone, un anello per elettroni e positroni molto più potente di Adone. Un progetto che si rivelò velleitario. Dopo due anni si arrivò alla conclusione che erano necessari troppi soldi e una organizzazione troppo complessa per un paese come l'Italia. Lo svanire di questo ambizioso sogno, la fine dell'epoca eroica dei Laboratori di Frascati – e probabilmente anche il declino della salute di Bruno Touschek, scomparso poi nel 1978 – segnano una profonda svolta nella vita di Carlo Bernardini, che nel frattempo inizia ad impegnarsi attivamente su fronti diversi dalla fisica attiva.

Tra il 1972 e il 1974 è preside della Facoltà di Scienze dell'Università La Sapienza e all'inizio degli anni ottanta coordina il primo ciclo di dottorato di ricerca alla Sapienza. Nel 1976 diviene senatore indipendente nel PCI durante la VII legislatura iniziando a fare politica per la ricerca e l'università, in particolare adoperandosi attivamente per le riforme scolastiche e universitarie. Collabora per anni alla rivista Rinascita, con uno spazio tutto suo, i "Taccuini", e presiede per un certo tempo gli Editori Riuniti portando in Italia i libri dei grandi fisici e matematici russi. Sono anni intensi, come lui stesso ricorda: "Tra la direzione della Sezione di Roma dell'INFN, la presidenza della Facoltà di Scienze di Roma e l'attività parlamentare al Senato, mi dispersi in una miriade di problemi e di attività. Studiavo in ogni momento libero…".

Ma di questo periodo lui stesso considerava la didattica universitaria il suo risultato migliore. Ispirato dall'esempio di grandi maestri ("sia Persico che Touschek erano docenti di inestimabile valore e mi spingevano all'imitazione…"), inizia anche il suo impegno sul fronte dell'insegnamento della fisica, che considerò sempre "la più nobile delle arti" e niente affatto "una attività minore, di secondo rango". Nel 1971 era stato richiamato in cattedra a Roma e dopo aver insegnato qualche anno il corso di Istituzioni di Fisica nucleare nel '79, dopo i tre anni e poco più di vita parlamentare, era tornato all'insegnamento spostandosi su Metodi matematici della Fisica, un corso perfettamente congeniale alla sua vasta conoscenza della fisica. Con orgoglio lui stesso ricorda: "Avevo moltissimi studenti e so che i miei corsi piacevano: erano molto affollati…". In verità per gli studenti del terzo anno, reduci dallo studio della fisica classica, la fisica delle immortali leggi di Newton e di Maxwell, significava entrare nell'universo nuovo ed entusiasmante del Novecento, per impadronirsi del linguaggio matematico e dei metodi che i fisici stavano utilizzando proprio dietro l'angolo… Significava anche iniziare a sentirsi parte di un mondo molto speciale. Le sue eleganti lezioni erano spesso inframezzate da consigli di libri da leggere, di musica da ascoltare – la musica che amava in modo straordinario – e così la sua influenza sugli studenti si estendeva ben oltre gli orizzonti della fisica, mostrando il senso di una profonda unità tra fisica e cultura del nostro tempo. Si diventava consapevoli del privilegio di poter leggere un lavoro fondamentale di Einstein provando la stessa emozione che si prova per una poesia di Leopardi.

Bernardini si impegna attivamente anche sul fronte dell'insegnamento della fisica nelle scuole e mette insieme un gruppo di insegnanti di scuola secondaria di Roma e Terni con cui elabora una intensa attività di seminari e di proposte per le scuole. Nel frattempo scrive manuali di fisica, testi divulgativi e saggi vari. Scrivere gli veniva naturale, le idee fluivano dalla sua mente già perfettamente compiute, con naturale eleganza e leggerezza, spesso sfumate di ironia. Un'attività quotidiana, in cui confluivano e venivano distillati il suo impegno politico, culturale, gli ideali personali, gli entusiasmi del momento, la frequentazione intensa di tanti esponenti di livello del mondo della politica e della cultura. E così nascevano gli editoriali per Sapere, la collaborazione con Lucio Lombardo Radice nella direzione della rivista Riforma della Scuola, i saggi, il libro Contare e Raccontare, un dialogo sulle "due culture" scritto con il fraterno amico Tullio De Mauro con cui aveva anche condiviso l'entusiasmante iniziativa della collana "I libri di base" pubblicata dagli Editori Riuniti.

Amava anche scrivere componimenti in rima, in italiano o in romanesco, nei quali venivano presi in giro i colleghi; una testimonianza del clima scherzoso e della forte componente ludica caratteristiche del gruppo di giovani uniti nell'impresa di avviare le attività di ricerca nei Laboratori di Frascati. Il suo forte senso dell'umorismo, originariamente derivato dall'ambiente familiare e da una consuetudine tipica del meridione d'Italia di cui andava fiero, rappresentava anche una forma di reinterpretazione e controllo della realtà, in qualche modo affine all'umorismo a volte estremo dei famosi disegni di Bruno Touschek, seppure di stampo e origine assai diversa.

Carlo Bernardini durante una conferenza negli anni Ottanta

 

Nel 1982, insieme a Michelangelo De Maria, Francesco Calogero e Carlo Schaerf, contribuisce alla nascita dell'Unione Scienziati per il disarmo (USPID) e alla relativa serie di convegni internazionali. A quel tempo inizia a dirigere con grande passione la rivista Sapere, insieme con Daniela Minerva. La rivista, a cui collaborano gratuitamente anche varie personalità della vita scientifica e culturale italiana, diviene nel tempo uno straordinario vivaio di nuove e brillanti leve, alimentando il giornalismo scientifico del nostro paese con personaggi di grande qualità.

In quel periodo entra in più stretto contatto con il gruppo di storici della fisica del dipartimento (Michelangelo De Maria, Gianni Battimelli, Fabio Sebastiani, Maria Grazia Ianniello, Carlo Tarsitani) anche ispirato dall'impegno con cui lo stesso Edoardo Amaldi aveva documentato l'attività del gruppo Fermi, le ricerche durante la guerra e gli anni della ricostruzione. In qualità di presidente del comitato per le celebrazioni del centenario della nascita di Enrico Fermi nel 2001 coglie questa occasione per una riflessione più approfondita sull'importanza della ricerca storica che prende corpo nel tentativo di creare un Istituto Nazionale di Storia della Fisica, le cui aspettative di finanziamento svaniscono con il ministero Moratti. Tuttavia si prodigò con entusiasmo nel supportare l'iniziativa tuttora attiva di una scuola invernale di storia della fisica promossa dall'Associazione per l'Insegnamento della Fisica (AIF). La scuola, animata da Carla Romagnino affiancata da Rita Serafini, direttrice della rivista La Fisica nella Scuola, materializzava la sua aspirazione a una didattica scolastica in cui i contenuti scientifici fossero coniugati con la storia delle idee.

Ha dedicato a questi aspetti tutti gli ultimi anni della sua vita, convinto del fatto che "un settore culturale senza storia è un'anomalia grave del pensiero e di tutte le sue tradizioni; nel caso della fisica, e, forse, di tutte le scienze dure, è anche una colpevole negligenza perché, addirittura, ignora lo sforzo che ogni individuo deve fare, nell'arco di una vita, per trasformare la razionalità istintiva prescientifica in razionalità scientifica dotata di un linguaggio estremamente efficiente e produttivo creato da un cervello collettivo nell'arco di secoli".

Incoraggiato ed ispirato dall'anno mondiale della fisica, celebrato nel 2005, lui stesso ha sentito l'esigenza di raccontare la propria storia nel volumetto Fisica vissuta, ricollocando se stesso e il suo percorso accanto ai tanti personaggi con cui aveva condiviso con passione la sua avventura intellettuale, ricordati con affetto, entusiasmo e ammirazione in tutti i suoi ricordi autobiografici. Ma lasciamo a lui stesso l'ultima parola sulla sua vita così intensa:

"Oggi, quando ormai quel poco che potevo fare l'ho fatto, e mi avvio alla conclusione generale, ho un passato da raccontare: e questo, sia ben chiaro – come lo è a me stesso –, è il passato di un fisico "normale", che molti potranno giudicare mediocre, o comunque non geniale. Come me ce ne sono tanti; eppure qualche diritto a fare storia lo abbiamo, nel senso che, specie vivendo in un mondo che adora i geni come usava con i semidei, i 'comuni mortali' hanno talvolta coscienza dei loro limiti e, perciò, bisogno di consolazione. La Fisica progredisce con i bagliori delle grandi idee, ma anche con la moltitudine delle fiammelle di ideuzze, che non danno fama ma 'rischiarano il panorama'".

 

1. Carlo Bernardini, Fisica vissuta, Codice Edizioni (2008), p. 3. Tutte le citazioni sono tratte da questa breve ma avvincente autobiografia, oppure dai contributi autobiografici apparsi in: L. Bonolis e M. G. Melchionni, Fisici italiani del tempo presente. Storie di vita e di pensiero, Marsilio, 2003; L. Bonolis, Maestri e allievi nella fisica italiana del Novecento, La Goliardica Pavese, 2008. Quest'ultimo include un'ampia bibliografia delle pubblicazioni non scientifiche di Carlo Bernardini.

 

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