Un ricordo di Franco Palladino

Un breve profilo umano e scientifico

   Il tre aprile scorso, durante la notte, Ida, la moglie di Franco, si accorge del respiro affannoso del marito; cerca inutilmente di risvegliarlo. Nell’ospedale più vicino a Frattamaggiore, dove abita, possono solo constatare la presenza di un’imponente emorragia cerebrale e la gravità della situazione; lo indirizzano a Napoli, ad un altro ospedale, il “Cardarelli”, il più grande ed attrezzato dell’Italia meridionale, luogo d’elezione del dolore  e della speranza. La situazione appare disperata, viene subito sottoposto ad un lungo, delicato intervento. Con sorpresa degli stessi chirurgi resiste; viene trasferito in rianimazione, ma non si risveglia dal coma farmacologico. Seguono due lunghe settimane. La speranza che si salvi si accompagna alla consapevolezza che il danno cerebrale è vasto: e’ condannato, pare certo, ad uno stato vegetativo, quello stesso stato vegetativo che in tante discussioni, provocate da recenti fatti di cronaca, riteneva una non vita. Il 17 aprile cede.

Franco Palladino

    Negli ultimi tre o quattro anni Franco si era spesso lamentato della sua salute: un diabete che lo aveva condotto all’insulina-dipendenza, una epatopatia cronica. Tra le sue carte i familiari hanno ritrovato una singolare dedica che voleva apporre all’ultimo volume che stava preparando: “dedicato a me stesso, con i miei sogni, la mia generosità, le mie contraddizioni. Per quando non risarò più”.

   Eppure tutti noi che lo conoscevamo eravamo convinti che si lamentasse un po’ troppo. In effetti il suo regime di vita sembrava poter tenere lontane conseguenze gravi delle sue patologie. Era frugale e attento nel cibo. Quando poteva, cercava di allontanarsi dalla città, con la sua famiglia, per recarsi in una casetta in campagna e curare un piccolo campo. Lì  invitava  gli amici e cercava di convincerci  delle virtù terapeutiche di quelle mele  e di quelle arance che coltivava personalmente. Curava l’attività fisica e gli piaceva raccontare delle sue escursioni in bicicletta, dei quotidiani esercizi per la vista, della ginnastica per quel po’ di artrosi cervicale, naturale data l’età. Ma ciò che soprattutto induceva una certa incredulità nei confronti delle sue lamentele, rendendo per noi così più inaspettata e amara la sua scomparsa, era la sua dedizione instancabile al lavoro. Alle otto del mattino era già in ufficio, vi si tratteneva fino alle otto di sera, vi  ritornava spesso dopo cena e rimaneva fino a notte fonda: tutti ricordiamo le sue telefonate di lavoro che arrivavano, talora, negli orari più inaspettati. La soffitta di casa sua, dove lavorava nei periodi festivi, era letteralmente ricoperta di libri e sommersa da un mare di fotocopie, tratte da testi delle più svariate biblioteche d’Europa.

    Questa dedizione al lavoro è stata forse il tratto distintivo della sua intera vita, dedizione al lavoro non frutto solo di senso del dovere, ma sostenuta ed accompagnata  da una curiosità di sapere, sempre fresca e appassionata, talora forse anche un po’irruenta, quasi di un bimbo che si affaccia sul mondo.

    Franco era nato il primo agosto del 1945 a Frattamaggiore. I suoi genitori erano piuttosto anziani. Suo padre era un artigiano stimato, un sarto, ed aveva combattuto valorosamente (Franco ricordava spesso questa circostanza) nel primo conflitto mondiale. Anche la sua bottega risentì, dal punto di vista economico, del diffondersi impetuoso, sul finire degli anni Cinquanta, degli abiti preconfezionati. Si aggiunsero problemi di salute. Alla sua scomparsa Franco dovette in parte provvedere alla famiglia. Studiava come perito chimico, lavorava come magazziniere in una farmacia e dava qualche lezione privata. Raccontava di essere rimasto anche, qualche volta, per qualche giorno senza cibo.

    Diplomato, cominciò a insegnare e si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria. Interessato alla Matematica e attratto dalla minore lunghezza degli studi, decise di trasferirsi a questo corso di laurea.

     Ebbe una breve (e per lui disilludente) esperienza politica come consigliere comunale a Frattamaggiore.

     Una volta laureato, cominciò a frequentare la Mathesis e ad interessarsi di problemi di Didattica con Aldo Morelli. Prese parte ai nuclei di ricerca in questo settore, che si erano formati all’interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Durante questi studi si appassionò alla Storia della Matematica, che in quel momento vedeva come importante risorsa didattica.

    L’arrivo alla Facoltà di Scienze di Napoli nel 1980 di Maurizio Torrini, primo ordinario di Storia della Scienza,  lo spinse decisamente verso la Storia della Matematica. Un ulteriore stimolo in questa direzione venne da un contatto fortuito con la figlia di Federico Amodeo, lo storico della Matematica napoletano attivo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, che gli affidò l’archivio personale del padre. Di Federico Amodeo da quel momento Franco si sentì un po’ l’erede spirituale.

    Intorno a Torrini si formò un piccolo gruppo assai attivo di ricercatori, che comprendeva anche Romano Gatto e Antonio Borrelli.

   Naturalmente le prime ricerche si indirizzarono nel settore ove aveva maggiore competenza Torrini: il Seicento e il primo Settecento. Subito Franco mostrò però un particolare interesse per la ricerca documentale e in particolare per gli epistolari, forse anche stimolato dal gran numero e dall’importanza delle lettere conservate nel fondo Amodeo. Di questo periodo va ricordato almeno  un suo volume con Luisa Simonutti, nel quale curò la pubblicazione della corrispondenza  tra Celestino Galiani e  Guido Grandi, che avevano appena ritrovato.  

   Quest’interesse l’avrebbe accompagnato lungo tutta la sua attività scientifica.

    Sul finire degli anni Ottanta Franco ebbe un ruolo decisivo nel ritrovamento di altri importanti fondi. Il fondo Cesaro, individuato grazie a lui e ad Antonino Drago, fu trasferito al Dipartimento di Matematica di Napoli proprio usando il suo camper e le sue braccia; ebbe un ruolo notevole nella riscoperta, tra i materiali abbandonati in questo stesso Dipartimento, di significative corrispondenze epistolari di Genocchi.

   Ai materiali contenuti nei fondi Amodeo, Cesaro, Genocchi,che abbracciavano cronologicamente il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Franco dedicò a partire dalla fine degli anni Ottanta una serie di studi approfonditi.

   In effetti altri ricercatori stavano in quegli anni un po’ in tutta Italia portando alla luce altri importanti fondi, tra i quali vanno ricordati almeno quello di Cremona a Roma (corrispondenza con stranieri), quello di Betti a Pisa, quello di Genocchi a Piacenza, quello di Peano a Cuneo, quello di Cremona a Genova (corrispondenza con Italiani). Egli poté così presentare con ampi studi introduttivi e note critiche, grazie a  fortunati incroci con questi altri fondi, numerose corrispondenze epistolari di matematici di prima grandezza:  Brioschi, Cremona, Peano, Segre, Beltrami, Hermite, Catalan, Landau…

   Si veniva così pian piano ricostruendo quell’imponente reticolo di relazioni, di natura scientifica, culturale e organizzativa che stava dando vita  all’Italia unificata. Significativi volumi, in quest’ordine di idee, furono da lui dedicati, in collaborazione con Romano Gatto e con chi sta ora adempiendo questo triste compito di ricordarlo, alle corrispondenze  Cremona-Genocchi e Cesaro-Cremona, e, con la figlia Nicla, alle corrispondenze di Amodeo con vari matematici,  tra i quali Segre e del Pezzo.

  Allo studio dei fondi di quel periodo storico indirizzò anche vari allievi che aveva cominciato a seguire da quando, nel 1991, aveva vinto un concorso di professore associato in Matematiche complementari ed era stato chiamato alla Facoltà di Scienze di Messina. L’anno successivo si trasferì alla Facoltà di Scienze di Salerno; in quella stessa sede, nel 2002, divenne professore straordinario e, tre anni dopo, ordinario.  

   Franco curò anche, con grande passione, un altro filone di ricerche, del quale si può forse considerare un fondatore, almeno in Italia: lo studio dei modelli e degli strumenti matematici.

   Questo suo interesse trovava forse origine negli studi tecnici che aveva compiuto. Già quando si occupava del  primo Seicento, aveva curato l’analisi di alcuni strumenti ottici, ma la sua curiosità scientifica crebbe quando cominciò ad imbattersi nelle collezioni che giacevano, polverose, qua e là negli antichi Istituti di Matematica.  

   Queste collezioni avevano avuto un momento di gloria tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nell’età del positivismo, quando quasi ogni gabinetto di Matematica ne possedeva e ne era luogo di costruzione. Erano il mezzo essenziale attraverso il quale ci si poteva impadronire delle nuove realtà spaziali e fisiche che si andavano realizzando. L’avvento del formalismo le condannò all’abbandono e ben presto all’oblio. Franco con pazienza e ardore girò tutta l’Italia (e, in un secondo momento, tutta l’Europa), le tirò fuori dalla polvere, ne curò i cataloghi e il restauro, le studiò, rimise in funzione vari strumenti come gli integrafi di Pascal, conservati a Napoli. Il suo entusiasmo fu contagioso. Altri ricercatori, tra i quali la stessa Nicla, hanno continuato la sua opera e ora sono disponibili in rete cataloghi, studi, rielaborazioni virtuali.

  Questo secondo filone finiva naturalmente con l’intrecciarsi con il primo insistendo proprio sullo stesso periodo storico e con gli stessi protagonisti: molti epistolari infatti sono pieni di notizie riguardanti modelli e strumenti, molti fondi, come quello Cesaro, contengono perfino modelli e progetti di modelli.

   Questo intreccio non è casuale, come non è casuale l’insistere dei due filoni proprio sul periodo storico che va all’incirca dal 1860 al 1914. Quell’epoca lo affascinava, forse anche per influsso della figura e dei racconti paterni; ne comprendeva profondamente le dinamiche valoriali e sociali fino a condividerle e a riviverle emotivamente.

   Ma  Franco non dimenticò mai la ragione del suo primo avvicinarsi alla Storia della Matematica: la sua utilità come ausilio didattico e più in generale nella divulgazione scientifica. In quest’ottica partecipò sempre con entusiasmo alle iniziative del Centro PRISTEM della Bocconi e organizzò varie  manifestazioni, tra le quali va ricordata almeno  “Testimonianze matematiche a Napoli”.

   Ora Franco ci ha lasciato e noi possiamo solo augurarci che, come egli sperava,  il suo lavoro non vada perduto.