Un ricordo di Gerardo Marotta

Erano amici e si somigliavano molto più di quanto, in genere, si somigliano un avvocato e un matematico. L'uno e l'altro magri, "l'avvocato” e "o'professore", con le ossa sporgenti e gli occhi pieni di una luce che non sai mai se è più intelligenza o più passione. Lui marxisista, l’altro nipote di Bakunin, il padre dell’anarchismo. Tutti e due vicini al PCI. Li vedevi andare entrambi per la città in ogni stagione con un impermeabile o un cappotto sdruciti. Lui, l'avvocato – anzi "l'avvocato" – indossava anche un cappello che non passava inosservato. Entrambi detentori di una cultura vasta ed eclettica. Interdisciplinare. E, infatti, Entrambi esprimevano in ogni loro parola, in ogni loro gesto un totale disinteresse per il denaro. Entrambi profondamente napoletani e profondamente europei.

E se tra gli anni '30 e gli anni '50 del secolo scorso il matematico, Renato Caccioppoli, ha contribuito più di ogni altro tenere ancorata Napoli all'Europa, a partire dal 1975 l'altro, "l'avvocato", al secolo Gerardo Marotta, ha fondato lì, al Monte di Dio, un centro di cultura unico al mondo – parola dell'UNESCO – che, chissà perché, ha battezzato Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, mentre avrebbe potuto, forse avrebbe dovuto, chiamarlo Istituto Europeo per gli Studi Filosofici. E non solo perché prima a via Calascione (la casa del ricco avvocato) e poi a Palazzo Serra di Cassano, al Monte di Dio, sono passati i più grandi intellettuali europei. Ma anche perché le finestre dell'Istituto non spalancano sul Golfo di Napoli o sullo stivale. Spalancano sull'Europa.

Chi scrive lo ha incontrato per la prima volta nel 1995, per la presentazione di un libro sulla storia che ha portato a Hiroshima e Nagasaki. Lui assisteva in quella sala antica, spartana e bellissima con la solita curiosità: un’altra delle sue straordinarie doti. Accennai al Manifesto agli Europei con cui Einstein e Nicolai nel 1914, in piena guerra, proponevano di deporre le armi e di costruire gli Stati Uniti d'Europa.. Lui allora si alzò, prese la parola con la sua vocina capace di esprimere un eloqui torrenziale, e quasi con le lacrime agli occhi questo disse: «Il nostro compito è assumere questa precoce teoria – in fondo Einstein e Nicolai precedevano di un trentennio il Manifesto di Ventotene – e dobbiamo trasformarla in prassi. È la nostra unica salvezza. E solo la cultura – la cultura "una" dell'uomo – può aiutarci».

Dimenticavo, Gerardo Marotta è morto lo scorso 25 gennaio a Napoli all'età di 89 anni. Lasciando la città molto più povera.

Gerardo Marotta

 

"L'avvocato" era, infatti, nato a Napoli il 26 aprile 1927. Ancora tre messi e avrebbe toccato i novant'anni. Di ingegno vivissimo, si era laureato in giurisprudenza, ma i suoi interessi spaziavano in ogni campo. E, infatti la sua tesi di laurea si intitola: La concezione dello Stato nel pensiero della filosofia tedesca e nella sinistra hegeliana. Lui si sente, appunto, attratto dalle correnti della sinistra hegeliana: quella cui appartiene Karl Marx, per intenderci. Ma è un hegeliano di sinistra a modo suo. Dotato già da giovani di piena libertà intellettuale. E infatti, mentre frequenta Renato Caccioppoli e i circoli del PCI – un PCI napoletano dilaniato dalla lotta interna tra destra e sinistra – inizia a interessarsi in maniera sempre più approfondita di storia e di filosofia, frequentando quell’Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato e diretto da Benedetto Croce, persona autorevole e arguta quanto mai ma certo non "hegeliano di sinistra".

La prassi in Gerardo Marotta non viene mai meno. E oltre al Circolo del Cinema, fonda l’associazione Cultura Nuova che dirige fino al 1953. Piuttosto ricco inizia a investire anche nell'acquisto di libri. Ci ricorda Massimo Cacciari che oggi, con 300.000 volumi, la sua è la più grande biblioteca filosofica privata del mondo. Un patrimonio culturale unico – comprende manoscritti originali come quelli di Benedetto Croce, Giova Battista vico, Giordano Bruno – che purtroppo a Napoli non si è riusciti a collocare in una sede degna.

Continuando la sua azione per fare di Napoli una grande città europea di cultura, nel 1975 fonda l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. L'Istituto nasce a Roma, all'Accademia dei Lincei, per impegno di Enrico Cerulli, presidente linceo; di Elena Croce, figlia di don Benedetto e dello stesso Marotta. "L'avvocato" ne diventa il presidente e, soprattutto, lo finanzia con i suoi soldi. Il suo patrimonio personale va a finire tutto lì.

Il napoletano che è un europeo in pochi mesi riesce a creare qualcosa di inusitato. I seminari, le presentazioni di libri, le scuole si succedono a migliaia. A Napoli, nel Mezzogiorno e altrove. Al massimo livello. I filosofi, certo: Hans Gadamer, Karl Popper, Luigi Firpo, Eugenio Garin. Poeti, come Pablo Neruda e Salvatore Quasimodo. Pittori, come Renato Guttuso. Ma anche gli uomini di scienza non sono né pochi né marginali. Vengono a Napoli – e non certo una sola volta – premi Nobel come il chimico Ilya Prigogine, biochimici come Max Perutz, i fisici come da Steven Weinberg a Sheldon Glashow e, naturalmente, Rita Levi Montalcini a Carlo Rubbia. Non mancano certo i matematici. E neanche i filosofi e storici della matematica: il rumeno Imre Toth, per esempio, è di casa. Marotta non dimentica certo i napoletani di valore. Sono suoi collaboratori il chimico Alfonso Mari Liquori e il fisico Edoardo Caianiello: il primo ha portato a Napoli la chimica moderna, il secondo ha fatto di Napoli il maggior centro europeo di cibernetica.

Purtroppo entrambi, Liquori e Caianiello, lasciano la città perché – come sostiene il fisico – in città prevale l'antimateria, che distrugge tutto ciò che di positivo la creatività della città riesce a realizzare. Così, dopo gli splendori degli anni '70 e '80, quando l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici fornisce non poche idee e non poco prestigio al cosiddetto "rinascimento napoletano", il declino. I fondi privati di Marotta iniziano a diminuire e quelli pubblici a essere tagliati. Con una forza d’animo di rara intensità, l'Istituto va avanti lo stesso. Ma con quante difficoltà. Nel 1994, in un periodo di speranza, aprì la porta di Palazzo Serra di Cassano che affaccia su via Egiziaca e ha di fronte il Palazzo Reale. Era chiusa dal 20 gennaio 1799, dopo la fine della Repubblica Napoletana, quando il re fece decapitare il rivoluzionario Gennaro Serra di Cassano. Hans Gadamer la attraverso soddisfatto insieme a Marotta.

Ma poi "l'avvocato" ha deciso di chiuderla di nuovo. La speranza a Napoli non è tramontata, ma non sta tanto bene. Come dimostrano i problemi irrisolti dei fondi pubblici all'Istituto e i 300.000 preziosi volumi che non hanno ancora trovato la loro degna collocazione. A disposizione di tutti, come "l'avvocato" voleva.