Variazioni attorno alla rete

Anche nel pensiero filosofico e scientifico - non solo in Letteratura - si incontrano metafore che possiamo interpretare come modelli, formalizzabili con il ricorso ad una Matematica qualitativa (dell’anesatto), alla Topologia o alla Teoria dei grafi ad esempio. La Matematica si presenta allora come un “dizionario dei possibili”, delle forme (strutture) con cui possiamo rileggere i processi della realtà e i cammini del pensiero.

Gli storici della Filosofia ci dicono ad esempio che potremmo rileggere il passaggio da Cartesio a Leibniz come una transizione dalla catena alla rete. Nel Seicento, nel cuore dell’età moderna, le scienze esprimono - ognuna nella propria lingua - un tema unico, un invariante strutturale che è costituito dal punto fisso di riferimento. Lo ritroviamo nella tecnologia delle macchine semplici, nei problemi della bilancia e del suo punto d’appoggio, nell’idrostatica e nella meccanica dei centri di grandezza e di gravità ma anche negli studi sulle sezioni coniche e di Geometria proiettiva (e si potrebbe continuare). Si tratta in generale di fissare un punto d’origine che sia riferimento per la rappresentazione e la misura, un punto fisso che sia solida base e fondamento di verità come appunto pretende di essere il cogito cartesiano : “penso, dunque sono”. Quel primo termine è l’ancoraggio da cui partono le sequenze dei fatti e le conseguenze dei pensieri, è il primo anello di una catena:  “Quelle catene di ragionamenti, lunghe, eppure semplici e facili, di cui i geometri si servono per pervenire alle loro più difficili dimostrazioni, mi diedero motivo a supporre che nello stesso modo si susseguissero tutte le cose di cui l’uomo può avere conoscenza” (Cartesio, Il discorso sul metodo, 1637). Le regulae del pensare, secondo il modello deduttivo della Geometria euclidea, devono snodarsi seguendo una consecuzione monodroma corrispondente alla successione lineare e unidimensionale delle cause meccaniche che, come perle lungo il filo di una collana, giungono a produrre l’evento.

Raymond Queneau

L’indagine poliziesca è una buona metafora della ricerca filosofica e scientifica”, ha scritto Renato Giovannoli (Elementare, Wittgenstein, ed. Medusa).  Nella Geometria del poliziesco classico, il mondo è pensato secondo l’ordinamento di una scacchiera. Costituisce una “Grande Catena dell’Essere”. L’indizio è una traccia fisica positivamente rilevabile da cui può muovere una catena di deduzioni (in realtà di abduzioni), di passaggi logicamente fondati, che conducono inevitabilmente alla scoperta del colpevole perché, afferrato un anello, ci si può muovere verso tutti gli altri.

Ancora ai primi dell’Ottocento era ampiamente accolto il principio di continuità e pienezza secondo il quale la natura procede seguendo variazioni e sfumature impercettibili. Questo si traduceva nell’immagine della scala naturale, figura ad una dimensione dove i corpi (e le specie) si succedono come anelli della “grande catena dell’essere” che conduce dai minerali all’uomo (se non agli angeli). Ma in realtà, già nei primi decenni del Settecento, il modello della catena (e della scala) si indebolisce. Appare sempre più arduo disporre tutti gli esseri lungo una linea retta, data l’esistenza di molteplici affinità tra i corpi. Poi la gerarchica continuità della scala è indebolita dall’accresciuta incertezza sull’esistenza di anelli intermedi che dovrebbero garantire un’ordinata transizione fra minerali e vegetali, fra vegetali ed animali. Quando Linneo a metà Settecento cercherà di accostare gli esseri non uno dopo l’altro, ma uno accanto all’altro, dovrà sostituire alla scala una nuova immagine, quella della mappa geografica. Mappa, rete, tessuto o tavola (come diranno prima Buffon e poi Mendeleiev) forniscono modelli per disporre gli elementi su di un territorio a due dimensioni, sul quale il naturalista-cartografo guarda all’opera di Dio come esito non più di una scelta univoca ma di un percorso aperto in tutte le direzioni. Nella seconda metà dell’Ottocento, la teoria evoluzionistica troverà nell’albero la sua più efficace traduzione visiva.

La transizione dalla catena alla rete è una delle proposte più rilevanti che l’ingegnere-scrittore Carlo Emilio Gadda, alle prese con lo studio del pensiero di Leibniz, propone nella Meditazione milanese del 1928.

cause ed effetti sono un pulsare della molteplicità irretita in sé stessa e non sono mai pensabili al singolare (…) L’ipotiposi della catena delle cause va emendata e guarita, se mai, con quella di una maglia o rete: ma non di una maglia a due dimensioni (superficie) o a tre dimensioni (spazio-maglia, catena spaziale, catena a tre dimensioni), sì di una maglia o rete a dimensioni infinite. Ogni anello o grumo o groviglio di relazioni è legato da infiniti filamenti a grumi o grovigli infiniti.

Un diagramma a rete è formato da una pluralità di punti (vertici o nodi) uniti fra loro da una pluralità di ramificazioni o connessioni: ogni punto è un elemento di un insieme, ogni cammino rappresenta una relazione fra gli elementi. Questo modello è la rappresentazione di una situazione complicata in costante evoluzione e consente, passando dal lineare al tabulare, un’approssimazione più fine e flessibile delle situazioni reali grazie al grande numero di elementi e cammini.  Pierre Rosenstiehl, nella voce Rete, composta per l’XI volume dell’Enciclopedia Einaudi (1980), scrive: “La nostra epoca sarà segnata dal “fenomeno rete””.Tutti noi siamo immersi in reti, nella nostra vita sociale, in particolare nell’ambito della comunicazione. Basta pensare alla rete telefonica, alle reti che l’epoca dei computer consentirà di attivare. La rete è un oggetto topologico, come attestano le carte geografiche. Ma possiamo anche tracciare la rete delle commutazioni di cinque lettere o i grafi (a rete) delle reazioni chimiche attorno a una coppia di atomi di carbonio; in questi casi siamo di fronte ad una topologia combinatoria della rete. Una rete è tracciata anche dai percorsi che il cavallo compie nel gioco degli scacchi: i nodi sono le 64 caselle e un problema classico è come far muovere il cavallo in tutte le caselle senza che ripassi due volte per la stessa (come accade nel famoso problema topologico dei ponti di Konisberg).

Italo Calvino

L’idea che anche la Letteratura possa adottare procedure combinatorie è esposta da Italo Calvino in un saggio del ’67 dal titolo Cibernetica e fantasmi. Le novità delle scienze contemporanee (la Cibernetica di Wiener, la Teoria dell’informazione di Shannon, l’Intelligenza artificiale di Turing e von Neumann) hanno le loro radici nell’ars combinatoria di Lullo e nel pensiero di Leibniz (risale al 1666 la Dissertatio de arte combinatoria, in cui mostrava come si potessero manipolare simboli di ogni tipo, numeri ovviamente, ma anche colori, suoni, lettere ecc.). Ma anche la semiotica, lo strutturalismo e la linguistica di Chomsky mostrano come, a partire da un numero finito di elementi, si sviluppino potenzialità pressoché infinite. L’antropologo culturale “Lévi-Strauss, lavorando sui miti degli Indiani del Brasile, vede in essi un sistema d’operazioni logiche tra termini permutabili, tali da poter esser studiate coi procedimenti matematici dell’analisi combinatoria”. Narrare risulta così un processo analogo ad un’operazione aritmetica, è combinazione di elementi dati, permutazione in base a regole come in un gioco, ad esempio gli scacchi o i tarocchi (come Calvino farà nel Castello dei destini incrociati e nelle Città invisibili), è produrre varianti nel senso dei gruppi di trasformazione in Matematica.

Il nuovo paradigma culturale vede il trionfo del discreto sul continuo, costituisce dunque “una rivincita della discontinuità, divisibilità, combinatorietà, su tutto ciò che è corso continuo, gamma di sfumature che stingono una sull’altra”. Il secolo decimonono, da Hegel a Darwin, aveva visto il trionfo della continuità storica e della continuità biologica. Ma proprio in Biologia la scoperta del DNA, da parte di Watson e Crick, ci ha permesso di comprendere come “la sterminata varietà delle forme vitali si può ridurre alla combinazione di certe quantità finite. Anche qui è la teoria dell’informazione che impone i suoi modelli”. L’immagine eminente della nuova episteme è la figura della “rete che si propaga a partire da ogni oggetto”:

Il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido, evocava in noi immagini lineari come un fiume che scorre o un filo che si sdipana, oppure immagini gassose, come una specie di nuvola (...) oggi tendiamo a vederlo come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo.

Già qualche anno prima un gruppo di scrittori e matematici aveva formato l’Oulipo (Laboratorio di letteratura potenziale) in cui si realizzavano giochi combinatori dei possibili elementi narrativi in base a codici assegnati. A guidare il laboratorio era Raymond Queneau che nel 1961 aveva pubblicato Centomila miliardi di poemi: dati dieci sonetti, ognuno di 14 versi, il lettore poteva sostituire a ogni verso uno tratto dagli altri 9 componendo così 1014 = 100.000.000.000.000 poesie diverse. Gli oulipiens si divertono ad imporsi contraintes (vincoli), regole rigorose, pur se arbitrarie, costruendo metodi di trasformazione automatica, magari rifacendosi all’algebra delle matrici per moltiplicare i testi. Georges Perec compone un romanzo, La Disparition in cui non viene mai usata la vocale e oppure - ricorda  Calvino - si avventura nell’esperimento di Ulcérations:

Per esempio, Perec parte dal dato statistico che le undici lettere più frequenti nel francese scritto sono quelle che si ritrovano nella parola ulcérations; un ordinatore elettronico gli fornisce tutte le permutazioni possibili di queste undici lettere; da questi anagrammi senza senso Perec pazientemente sceglie quelli che letti uno di seguito all'altro (e introducendo stacchi e punteggiatura), possano formare dei versi liberi dotati d'un senso e d'un ritmo. Ne nasce un libretto di poesie, intitolato appunto Ulcérations che consiste esclusivamente di 399 permutazioni di quelle undici lettere.

Uno degli incroci più interessanti tra Letteratura e Matematica di cui si sono occupati gli Oulipiens è il quadrato bi-latino, studiato da Eulero: immaginiamo di scrivere dieci racconti (le dieci righe orizzontali del quadrato) in cui figurino 10 personaggi (le colonne verticali), assegnando ad ogni personaggio una proprietà (indicata da una lettera nella casella) ed una azione specifica (indicata da una cifra nella casella). Proprio un quadrato bi-latino ha ispirato Perec nel  comporre La vita: istruzioni per l’uso (1978), un romanzo “universale” ed enciclopedico, il cui centro è un palazzo parigino di 9 piani più le cantine, ed ogni piano ha 10 appartamenti. In pratica, una scacchiera 10x10 è lo schema in verticale del palazzo ed ogni capitolo del libro descrive uno dei 100 luoghi del palazzo corrispondenti alle 100 caselle (anzi, i capitoli sono 99, ad indicare che il vuoto ed il nulla sono sempre in agguato). Per descrivere i luoghi del palazzo (e le storie che vi si svolgono), Perec prende una delle soluzioni del noto problema enigmistico-scacchistico di percorrere tutte le caselle della scacchiera senza passare due volte su alcuna, come appunto farebbe il cavallo. Ma a questo modello formale si aggiunge un contenuto formato di liste di temi, divisi in 42 categorie (geografia, storia, mobili, stili, colori, cibi, piante, animali, minerali, ecc.: la passione per i cataloghi e le enumerazioni) ed in ogni capitolo, anche se appena accennato, compare un tema di ogni categoria.

Con Il castello dei destini incrociati, pubblicato nel 1969, e poi con La Taverna dei destini incrociati, Italo Calvino inizia la sua fase combinatoria. L’idea è quella di comporre storie a partire dalle figure dei tarocchi, il che consente fra l’altro di superare il limite della scrittura tradizionale in Occidente, quello per cui una pagina può essere letta solo in una direzione, dall'alto in basso, da sinistra a destra. Il rettangolo dei tarocchi invece rappresenta una specie di cruciverba che offre una lettura pluridirezionale in cui è rappresentata simbolicamente la fluidità del racconto orale, della conversazione e del pensiero, che non è lineare ma multilineare, costituito da deviazioni e frasi lasciate a metà. La struttura è quindi una rete interconnessa, policentrica e multilineare “entro la quale – sono parole di Calvino – si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate”.

Ma è soprattutto con Le Città invisibili che Calvino sperimenta le potenzialità combinatorie. Il testo si presenta come una serie di relazioni di viaggio che Marco Polo, il mercante-ambasciatore, fa a Kublai Kan, imperatore dei Tartari. I nove capitoli sono divisi in rubriche, cui corrispondono le descrizioni delle città visitate da Marco Polo durante i suoi viaggi. Il primo e il nono capitolo comprendono dieci rubriche, mentre i capitoli intermedi (dal secondo all’ottavo) raccolgono cinque rubriche ciascuno. Le cinquantacinque rubriche sono definite da undici titoli ripetuti cinque volte. Le città sono quindi catalogate sotto le undici rubriche (“Le città e la memoria”, “Le città e il desiderio”, “Le città continue”, ecc.), che si avvicendano secondo un criterio di alternanza scalare. Alle cinquantacinque città si sommano nove microcornici e il totale di sessantaquattro evoca l’immagine di una scacchiera. A un certo punto della loro conversazione, l’imperatore e il viaggiatore si trovano proprio davanti a una scacchiera che per Kublai costituisce lo schema a cui si potrebbero ricondurre le infinite città del suo impero. Il processo combinatorio diviene un tentativo per esorcizzare il caos, di dare rigore razionale al regno dell’informe. Ma Calvino è consapevole che “il gioco matematico combinatorio (...) può funzionare come sfida a comprendere il mondo o come dissuasione dal comprenderlo”. La scrittura è una combinatoria di elementi, analoga a quella dell’alfabeto; i tarocchi si compongono come lettere, analoga al combinarsi degli atomi nell’universo lucreziano. La Geometria è così modello eminente della Letteratura. Anche la Letteratura è arte dello spazio, disegno in un campo visivo. Del resto, cos’altro è la Geometria se non una lingua che parla di un grafo?