Staminali e democrazia

Il quadro generale

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Che la ricerca italiana sia in paziente attesa di leggi costruttive e della certezza di risorse stabili è cosa nota, da vari decenni. Come è ben noto che la ricerca e le applicazioni tecnologiche dei saperi che da essa derivano, oltre a nuove conoscenze, portano alla società benefici culturali, economici e medici e si pongono oggi come motore dell'evoluzione sociale ed economica dei paesi avanzati.

Questa situazione è un dato fattuale incontestabile, come lo è il fatto che la ricerca finanziata pubblicamente porta diversi tipi di contributi alla crescita economica e sociale di un Paese, esattamente ciò di cui ha bisogno l'Italia per arrestare il proprio declino. Solo per ricordarne alcuni:

a) espande le opportunità scientifiche e tecnologiche che vengono rese disponibili alla società e alle imprese per le loro attività tecnologiche;

b) crea laureati qualificati per la cui preparazione le imprese dovrebbero fare enormi investimenti;

c) crea nuove strumentazioni scientifiche e metodologie innovative sviluppando nuove apparecchiature, tecniche di laboratorio e metodi di analisi;

d) crea reti di collaborazione scientifica e di interazione sociale dove l'interesse è la collaborazione ed una sana competizione;

e) le Università rappresentano spesso l'elemento catalizzatore attorno al quale si sviluppano nuove imprese mercantili, creando agglomerati regionali in cui la collaborazione tra pubblico e privato porta allo sviluppo di settori economicamente molto significativi (si pensi al settore dell'elettronica e delle biotecnologie).

Certo, la sottovalutazione di quanto sia cruciale il ruolo della ricerca (e della didattica) svolta in Università non è solo un male italiano. La vera causa delle difficoltà della Unione Europea nel confronto con USA, Giappone e, è ormai il caso di affermarlo, Cina e India (che aumentano al tasso del 20% annuo i fondi per la ricerca) sta proprio nel aver tralasciato il proprio bene più prezioso, quello che storicamente ha contraddistinto l'Europa nei secoli passati: la cura della istruzione superiore e della ricerca. Un semplice dato descrive questa scelta rovinosa: gli USA finanziano le proprie Università con un 2.6% del PIL contro 1.2% della UE; inoltre perseguono con successo politiche pubbliche di incentivazione dei finanziamenti privati alle Università, cosa del tutto inesistente in Italia. Non è un caso che Oxford e Cambridge primeggino come le prime Università europee nelle classifiche mondiali: in questi due atenei i finanziamenti privati sono una voce considerevole del bilancio. Per contrastare questa situazione gli altri paesi europei, seppure in ordine sparso, hanno seguito, ed in parte sviluppato con proprie originalità, la filosofia del funding first (presa dal modello statunitense) vale a dire i fondi pubblici devono essere prima di tutto investiti in ricerca, in particolare quella biomedica ed elettronica, poiché l'investimento si tramuterà in un dividendo economico di eccezionale valore. Uno dei mille esempi che si possono indicare per dare sostanza a queste parole è il seguente (per una analisi dettagliata, tabelle e grafici, si veda www.fundingfirst.org): i costi sociali delle patologie che ci affliggono sono di gran lunga superiori ai costi delle ricerche capaci di prevenirli (negli USA, negli ultimi 10 anni, vi è stato un risparmio di 3 miliardi di dollari annui sui costi dei trattamenti medici per l'ipertensione). Inoltre, gli altri paesi europei si sono detti entusiasti della creazione di un Consiglio Europeo della Ricerca (ERC: l'Italia di Berlusconi – Moratti non firmò l'adesione, in compagnia della Polonia) con un budget di circa 8 miliardi di euro per i prossimi sette anni. Questi danari sono solo il 5% degli investimenti realizzati in ricerca in Europa, è bene che siano impiegati con una politica armonica, di decisioni comuni, visto che il restante 95% della spesa globale europea procede in ordine sparso, su base nazionale.

parlamento europeo
Parlamento europeo

Non deve sfuggire poi il fatto che privare delle risorse economiche i ricercatori significa privarli della libertà di ricerca. In Italia i ricercatori sono sempre stati liberissimi di svolgere la ricerca che desiderano (le sole limitazioni riguardano gli OGM e le staminali), ma sono sempre stati poco liberi dalla cronica mancanza di fondi.

Contrariamente alle esperienze di Paesi quali gli USA ed il Regno Unito, che proprio in virtù di specifici studi hanno fatto ingentissimi investimenti nella ricerca universitaria pubblica (con i governi Clinton e Thatcher, ed ancora fanno con i governi Bush -che ha aumentato del 15% gli investimenti dello stato per la ricerca biomedica- e Blair) consapevoli del ritorno economico per il Paese nel breve-medio periodo, pari ad un utile del 28% annuo.

Questo semplice quadro pare però di difficile comprensione per i nostri decisori politici, del tutto indifferenti dinnanzi alla gravità della situazione del sistema ricerca in Italia, come denunciato da autorevoli organismi. L'Italia chiude il decennio passato con un investimento del 1.04% per la spesa di ricerca. L'impegno del governo di portare i fondi della ricerca a dei livelli europei è gia messo in crisi dai primi provvedimenti del governo Prodi che ci si augura vengano corretti nella prossima finanziaria, come ha chiesto con forza il Ministro Fabio Mussi. Il Ministro ha anche indicato alcuni importanti correttivi. Primo tra tutti quello di concedere dei premi fiscali a chi investe in ricerca: le imprese investono solo lo 0.38%. Si è poi detto convinto della necessità di correggere gli errori compiuti in passato tra i quali primeggiano una distorta riforma del CNR (riportando al di fuori del suo confine l'Istituto Nazionale di Fisica della Materia) e la creazione, frutto di una idea naïve di cosa sia la ricerca, dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT, raccordandone gli obiettivi a quelli della Università). Si è inoltre impegnato in un serio programma di reclutamento dei giovani ricercatori italiani, capitale umano di eccellenza che l'Italia forma a vantaggio di altri paesi perdendo così una risorsa di estremo valore.

Vesentini
Edoardo Vesentini

Purtroppo il problema dei finanziamenti non è l'unico problema, ve ne sono molti altri. Il più grave è certamente quello della consultazione della Accademia, della comunità scientifica. L'Italia è un paese ove i decisori politici non si degnano di attuare procedure di consultazione, cosa del tutto consueta negli altri paesi europei. È questo un elemento di grande carenza strutturale del sistema Italia, come ricordato in una toccante intervista a Nature (3 aprile 2003, pag. 467-468) alcuni anni orsono dal Prof. Edoardo Vesentini dell'Accademia dei Lincei.

Un solo esempio per chiarire la giustissima lamentela su questa anomalia tutta italiana. La CRUI è l'associazione costituita dai rettori delle Università statali e non statali, che approfondisce i problemi del sistema universitario (e della ricerca universitaria, gran parte della ricerca globabalmente svolta dall'Italia) rappresentandone i bisogni alle autorità governative e parlamentari ed esprimendo pareri sul piano di sviluppo dell'Università: il tutto ai sensi di una legge dello Stato (articolo 2, legge 168/1989). Più volte la CRUI ha insistito sul fatto che non siamo attrezzati per competere con successo nel nuovo ordine economico internazionale dove la ricerca, la conoscenza, l'alta formazione rappresentano le risorse primarie. E che il livello di istruzione superiore della popolazione è inferiore rispetto a quello degli altri Paesi occidentali e il mercato del lavoro per i ricercatori, oltre ad essere sottodimensionato ed esposto al processo di invecchiamento degli addetti, non permette ai giovani ricercatori di entrare nel mondo della ricerca. Preoccupazioni sistematicamente ignorate. Come pure sistematicamente ignorati sono i documenti che provengono da autorevoli associazioni. Nel Regno Unito vi sono decine di associazioni i cui documenti vengono presi in serissima considerazione, se non addirittura posti alla base delle normative sviluppate, dal mondo politico; basti pensare ai documenti della Royal Society. In Italia ciò non accade ai documenti prodotti dalla Accademia dei Lincei e da altre autorevoli associazioni e commisioni. Inoltre, rarissimi sono i decisori politici che si presentano in pubblico a trattare dei tanti temi della ricerca con l'aiuto di un consulente scientifico. Dopo il secolo della fisica, siamo in quello della biologia: come già detto, le culture e le economie delle società occidentali si basano sugli avanzamenti del sapere delle scienze della vita. Nelle società avanzate diviene una necessità conferire più potere agli scienziati: senza voler fare una difesa di casta, i ricercatori sono oggi inevitabilmente chiamati a rispondere ai bisogni della società civile più che in passato, ed a trovare soluzioni a richieste concrete. Ne deriva pure che i ricercatori debbono uscire dalle loro torri di avorio, aprire le porte dei laboratori al pubblico per far capire come vengono effettuate le sperimentazioni, cosa sono i protocolli di ricerca, come si lavora; far vedere che i ricercatori non sono al soldo delle multinazionali, che la ricerca rappresenta un vero lavoro dello spirito, una scelta di vita che richiede modestia ed umiltà. E per i cittadini comuni capire che informarsi sui progressi della ricerca è parte integrante della nostra cultura, è una disciplina cui occorre dedicarsi con pazienza per impadronirsi degli strumenti concettuali per valutare le applicazioni tecniche, così liberandosi dalle paure infondate e capendo che la comunità scientifica è capace di auto-equilibrarsi. Ma nel panorama culturale italiano ciò non accade: filosofi e decisori politici non ritengono doveroso il consultare i manuali di biologia, il dedicarsi a conoscere le opportunità offerte dalla genetica e poi proporci le loro riflessioni. L'effetto finale di questo quadro è drammatico quando calato su temi di ricerca particolarmente rilevanti per le forti implicazioni sociali sottese o perchè carichi di correlati bioetici e sociali così pregnanti per la definizione stessa di cosa sia l'uomo, il suo corpo e le trasformazioni del corpo. Si pensi alle staminali.

 

Le staminali

Quando questo quadro generale incornicia uno dei temi più avanzati della ricerca biomedica, quello delle cellule staminali, se ne evidenzia la arretratezza e la gravità. Prima di svolgere alcune semplici considerazioni sulla governance della biologia delle cellule staminali è importante definire alcuni dettagli scientifici.

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Buona parte degli equivoci che alimentano e sostengono alcune posizioni di intransigenza nascono proprio dalla totale ignoranza e da generici riferimenti sulla biologia delle staminali, il che alimenta preconcetti non vagliati criticamente e radicalizza posizioni ideologiche.

Tutti noi originiamo da una cellula, lo zigote, frutto della unione dello spermatozoo e della cellula uovo, ed attraverso lo sviluppo embrionale e fetale da adulti siamo composti da circa un milione di miliardi di cellule. Tutte queste cellule originano dallo zigote che per questa sua capacità è per definizione “totipotente”. Lo zigote e le cellule dell'embrione nelle prime fasi dello sviluppo (blastocisti) possiedono tutte le informazioni, a livello nucleare e citoplasmatico, necessarie alla produzione dei diversi tipi cellulari che compongono un nuovo individuo. In alcuni tessuti dell'adulto permangono cellule che non andranno mai incontro al processo di differenziamento, mantenendo la capacità di rinnovarsi. Queste cellule sono dette “staminali”, cellule in grado di sostituire quelle differenzianti nei tessuti caratterizzati da un alto ricambio cellulare (ad esempio, le cellule germinali maschili, le cellule del sangue e quelle della pelle). Le cellule staminali mantengono capacità proliferativa durante tutta la vita dell'individuo e quando si moltiplicano danno origine ad una cellula che rimane di tipo staminale mentre l'altra inizia il processo differenziativo. Si dice così che le cellule staminali si dividono in modo asimmetrico poichè le due cellule figlie hanno destini differenziativi funzionali diversi. Con il procedere dello sviluppo embrionale e fetale il numero di cellule staminali si riduce e nell'individuo adulto sono presenti solo in alcuni precisi distretti tissutali. Dalle blastocisti si possono isolare le cellule del nodo embrionale e coltivarle fino ad ottenerne milioni, le cosidette cellule embrionali staminali, la cui caratteristica principale è l'elevata capacità proliferativa unita alla capacità di differenziarsi in qualsiasi altro tipo cellulare. Da questa breve descrizione deriva il concetto di cellula staminale: un particolare tipo di cellula che ha la unica capacità di rinnovare sè stessa e di dare origine ad uno dei più di 200 tipi diversi di cellule specializzate (osso, muscolo, fegato, nervi, etc etc.) presenti nel corpo. Le ricerche sulle potenzialità che le cellule staminali hanno di differenziarsi in qualsiasi altro tipo cellulare sono condotte da almeno vent'anni, anche se non sono mai state sotto i riflettori dei media se non negli ultimi anni, in particolare a partire dal 1998. Ora, grazie ad alcuni importanti risultati, promettono la produzione di nuove cellule e tessuti, forse anche organi, per lo sviluppo di nuove terapie per il morbo di Parkinson, l'Alzheimer, l'infarto, i tumori, il diabete, la osteoporosi, e molte altre patologie, generando grandi speranze ed aspettative sul loro impiego in ambito biomedico. Negli ultimi anni sono state migliorate le metodiche per il loro isolamento e la loro coltura ed è stata dimostrata la possibilità di produrre staminali embrionali a partire da un nucleo di una cellula somatica terminalmente differenziata, prelevata ad esempio da una biopsia, ridando ad esso le caratteristiche di totipotenzialità che possiede lo zigote. Ciò si può realizzare grazie ad una tecnica detta “trasferimento di nuclei di cellule somatiche” in cellule uovo private del loro nucleo (oociti enucleati). Una svolta importantissima nella ricerca sulle cellule staminali è giunta infatti con la clonazione della pecora Dolly e del topo Cumulina.

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La stessa tecnica si impiega dunque per la clonazione riproduttiva (utilissima in zootecnia) e per la clonazione terapeutica per la produzione di staminali embrionali (utilissime per la ricerca biomedica). L'attenzione del grande pubblico per le cellule staminali è ovviamente rivolta alle applicazioni terapeutiche.

È bene ribadire che oggi le terapie sono basate solo sull'impiego di quelle “adulte”: nessun medico impiegherebbe mai staminali embrionali. I biologi non ne controllano ancora il potenziale proliferativo, ergo sarebbe altissima la probabilità di indurre forme tumorali. Il loro impiego è solo per la ricerca: grazie alle embrionali riusciamo a “portare in provetta le malattie” e quindi a studiarle ed a sperimentare liberamente fuori dal corpo del malato per capire i processi biologici delle prime fasi di sviluppo embrionale e le proprietà farmacologiche di nuove molecole, come sviluppare nuovi vettori per terapie geniche e organi artificiali. E' questa una grande possibilità per abbreviare enormemente i tempi di passaggio dalla ricerca in laboratorio alla terapia al letto del paziente, una grande possibilità per la medicina traslazionale. Confondere i due diversi piani della biologia delle cellule staminali, la ricerca e la applicazione terapeutica, è fuorviante e non aiuta il dialogo l'insistere nei termini calcistici del “adulte – embrionali: 65 a 0”.

Dulbecco
Renato Dulbecco

Oggi è chiara la evidenza delle possibilità di terapie con le adulte e la possibilità delle embrionali nella ricerca. Non sappiamo come questo scenario sarà domani, la ricerca sui modelli animali ci dice già che sarà diverso e che le staminali embrionali giocheranno un ruolo cruciale nella medicina rigenerativa. Il rapporto Dulbecco e l'associazione internazionale delle Accademie scientifiche dicevano queste cose ben sei anni fa.

Nella Unione Europea la maggioranza dei cittadini chiede di sviluppare le ricerche sulle staminali embrionali: il Ministro Mussi ha recepito questa attesa ed ha detto sì al finanziamento a livello europeo delle ricerche. Ora la comunità scientifica si attende che altre istanze vengano recepite, prima tra tutte il finanziamento serio della ricerca ed una corretta interpretazione del quadro giuridico imposto dalla legge 40. Il piano nazionale di ricerca sulle sole staminali adulte fu di 5 milioni di euro (l'equivalente del biglietto della lotteria di capodanno) nel 2001, nel momento in cui il governo Aznar dava 100 milioni di euro al solo istituto Carlos III di Madrid. E Il Gruppo dei Ricercatori Italiani sulle Cellule Staminali Embrionali, rappresentato da Elena Cattaneo e Fulvio Gandolfi (Università di Milano), da Federica Sangiuolo e Giuseppe Novelli (Università di Roma “Tor Vergata”), da Gianluigi Condorelli (Fondazione Parco Biomedico San Raffaele Roma), da Alessandro Mugelli (Università di Firenze) e Cesare Galli (Università di Bologna) ha scritto al Presidente del Consiglio Romano Prodi una lettera aperta di particolare chiarezza ove si sottolinea: “Come scienziati chiediamo che alle nostre ricerche innovative sia dato il giusto rilievo, e siamo aperti a qualsiasi confronto trasparente e costruttivo. Siamo pronti e sempre disponibili a presentare in pubblico ciò che stiamo facendo, perché la scienza è un'attività che deve essere sempre svolta nella totale trasparenza e nel dialogo argomentato – senza pregiudizi”. Ed ancora: “le ricerche sulle cellule staminali embrionali sono campo di frontiera, nuovo e ricco di prospettive, potenzialità e quindi anche di speranze. Esse contribuiranno all'avanzamento delle conoscenze sulle malattie, permettendoci di elevare il livello di lotta alle patologie, con benefici per l'umanità tutta. Le ricerche sulle cellule staminali embrionali sono necessarie quanto quelle sulle staminali adulte. Non esiste contrapposizione tra queste ricerche ma complementarità. Le scoperte sulle prime costantemente favoriscono gli studi sulle altre, e viceversa. Non vi è alcuna certezza che la ricerca sulle sole staminali adulte possa garantire la cura di tutte le malattie umane. Per questo è “scientificamente sbagliato” impedire questa sinergia”. E, di particolare rilevanza, si ribadisce che: “la ricerca sulle cellule staminali embrionali in Italia è legale. Non contravviene alcuna legge e neanche le disposizioni previste dalla legge 40/2004 (artt. 13 e segg.). Sosteniamo inoltre che, anche dal punto di vista etico, le nostre ricerche sono pienamente legittime e doverose. Non è questa la sede per affrontare il tema dell'embrione, ma quello che è certo oltre ogni ragionevole dubbio è che una cellula staminale embrionale non è un embrione, e che lavorare su queste cellule non equivale affatto a lavorare su un embrione”. E' stupefacente il silenzio assordante del mondo del diritto a questo riguardo: solo Amedeo Santosuosso (Università di Pavia; Corte d'Appello di Milano) ha più volte sottolineato che l'articolo 13 della legge 40 deve essere interpretato in modo restrittivo. Esso contiene, infatti, una norma che limita la libertà di ricerca scientifica, tutelata dagli articoli 9 e 33 della Costituzione, e, come tutte le norme limitative di diritti costituzionali, non può essere interpretata in modo da restringere quei diritti più di quello che strettamente dice. In altre parole, in mancanza di un esplicito divieto è lecito svolgere ricerche anche sulle cellule staminali embrionali.

Inoltre, anche dal punto di vista scientifico, le posizioni riguardo il “passaggio generazionale dinnanzi alla riproducibilità tecnica di alcune fasi dello sviluppo embrionale” sottese alla legge 40 non tengono, fanno acqua da tutte le parti. Emerge infatti chiaramente che la divergenza sui diritti del concepito, sul numero degli embrioni e sulle staminali embrionali discendono dalla discordia sul momento dello sviluppo in cui si riconosce di trovarsi innanzi ad un nuovo individuo. Ora, un individuo è composto da circa un milione di miliardi di cellule e deriva da un processo di sviluppo programmato e diretto dalla prima copia del DNA del nuovo individuo, il genoma dello zigote. Su questo dato fattuale non vi è incertezza: le conoscenze biologiche permettono di stabilire in modo non ambiguo che l'inizio del processo coincide con la formazione della prima copia funzionale del suo genoma. Punto. Questo criterio è condiviso in tutte le forme di riproduzione animale e vegetale, naturale (fecondazione e partenogenesi) e artificiale (fecondazione assistita e clonazione) ed ha quindi un carattere di universalità che lo pone al riparo da qualsivoglia critica spiazzando tutte le altre proposizioni sull'inizio ontogenetico di un essere vivente. Nei mammiferi questo momento non coincide con la comparsa dell'embrione unicellulare, lo zigote. Varia in dipendenza della specie: nel topo è allo stadio di due cellule, nell'uomo a quello di quattro. L'assunzione di questo dato fattuale permetterebbe a tutte le posizioni di non rinunciare ai propri principi ma di ricollocarsi nella attuale conoscenza scientifica. Cadono per fallacia, poiché mancano di universalità, sia le posizioni gradualiste (l'individuo umano origina quando compare il sistema nervoso intorno al 14° giorno della gestazione oppure intorno al 6°-7° giorno quando si realizza l'impianto uterino) sia la posizione di chi colloca questo inizio nella fecondazione, cioè nella fusione delle membrane dello spermatozoo e dell'oocita: non tutti gli esseri viventi formano il sistema nervoso o si impiantano nell'utero o derivano per fecondazione (tutti i bimbi nati per iniezione dello spermatozoo, per la tecnica ICSI: questi bimbi sono persone tra di noi pur non essendo passate per alcuna fecondazione). L'embrione a quattro cellule si presenta tra la 40ima e la 50ima ora di sviluppo: sarebbe quindi possibile per il medico produrre il numero di embrioni che giudica utili, effettuare diagnosi, derivare staminali. E senza ricorrere ad esercizi di alta filosofia sull'essere o a giochi semantici sul termine embrione. La legge potrebbe essere decisamente aggiornata, con la sola eccezione della fecondazione eterologa che, paradossalmente, resterebbe di solo appannaggio della signora fertile! Come pure varrebbe la pena di riflettere sui decreti attuativi della legge 40 che istituiscono una “banca degli embrioni orfani”. Sono questi 31.000 embrioni criopreservati destinati a sicura morte, irrealistica essendo la adozione. Ora, i decreti attuativi ( decreto 4 agosto 2004 del Ministro della salute, pubblicato sulla GU n.200, del 26 agosto 2004, articolo 5) prevedono un generoso finanziamento per ricerche tese a migliorare le tecniche di criopreservazione di embrioni e gameti: la legge che dice di difendere gli embrioni dona, paradossalmente, risorse per impiegarli in ricerche! Non si vede infatti come si possa fare ricerca per migliorane la criopreservazione senza impiegarli in quelle ricerche, senza distruggerli di fatto. E vi sono autorevoli ricercatori come Camillo Ricordi (una autorità indiscussa sul trattamento del diabete con staminali) che ritengono “un crimine vero e proprio non utilizzare gli embrioni criopreservati in sovrannumero per fare ricerca. Come sarebbe un crimine non usare per un trapianto il cuore di un uomo che si è suicidato”. In realtà, la legge 40 evidenzia come dei decisori politici si sono arrogati il diritto di imporre a tutti i cittadini scelte che al massimo possono essere accettate da una sola parte della società civile. Comportando una confusione di ruoli inaccettabile: politici, filosofi, teologi e pensatori di varia estrazione si sono occupati di natura umana (cosa che dovrebbe competere al solo biologo, al solo medico) e non, come dovrebbero, della sola condizione umana; con la grave conseguenza che i cittadini tutti finiscono con il recepire come fatto naturale, cosa normale , la produzione di significanti alieni alla Biologia (es. il concepito, la persona) da parte di costoro. Tutto ciò ritarda l'affermarsi di una riflessione politico-culturale criticamente adeguata e capace di rielaborare il rapporto tra democrazia e diritti, tra welfare e democrazia e di individuare i punti di contatto tra ricerca scientifica, politiche per la scienza e più in generale di ridefinire il rapporto stato-cittadini-welfare, in una prospettiva che abbia il suo cardine nell'autonomia dei singoli sulle scelte bio-esistenziali così da contribuire a ri-orientare e ri-posizionare soggetti politici, economici e sociali nel dibattito in corso. E così è sempre più frustrata l'attesa della società civile, ed in particolare della comunità scientifica, di un genuino sforzo da parte del mondo dei decisori politici verso lo sviluppo di alcune direttrici di lavoro capaci di facilitare l'adozione di politiche in grado di governare l'ampia gamma di implicazioni sociali e culturali derivanti dalla rivoluzione delle biotecnologie. A questo riguardo, di estrema rilevanza ed urgenza sono quelli della governance della ricerca biotecnologica, della ingegneria genetica, della sperimentazione biomedica, della procreatica e della fine vita. I decisori politici paiono non cogliere la differenza tra cosa sia la ricerca e lo sviluppo di nuove tecniche e cosa sia il prodotto delle nuove tecniche (es, trasferimento di nuclei somatici - cellule staminali - clonazione).

Habermas
Jurgen Habermas

Se sono sordi alla voce degli scienziati, si mostrano però sensibilisssimi ai richiami del Pontefice e di vari filosofi, anche rispettabilissimi, come Jurgen Habermas. Scriveva il Cardinale Ratzinger: “Con la ricerca del codice genetico la ragione si impossessa delle radici della vita e attraverso la genetica l'uomo viene fatto e ciò che si può fare si può anche disfare; la natura e la dignità dell'uomo allora scompare”. In realtà il codice genetico non ha alcuna rilevanza in questa riflessione (è il codice universale, dal lievito all'uomo, di trasmissione della informazione genetica dal DNA al RNA ed alle proteine), il Pontefice non può che alludere in generale alle ricerche sul genoma umano ed al fatto che la ragione non vede l'uomo come dono del Creatore.
Queste riflessioni vanno di pari passo con quelle di Habermas e purtroppo contribuiscono solo a falsare il dibattito ed arrivano a formulare proposte irricevibili dalla comunità scientifica, e ci si augura dalla società civile. In particolare scrive Habermas che ciò che costituisce un problema non sono le biotecnologie e l'ingegneria genetica, ma la modalità e lo spettro delle loro applicazioni, come critica alla genetica liberale (del tutto sconosciuta al mondo della biologia: si conoscono genetiche mendeliane, molecolari, quantitative, etc etc, ma liberali no!) incapace di fare distinzioni. Il fatto è che gli argomenti che egli mette in campo contro i pericoli della genetica liberale sono argomenti contro le biotecnologie e l'ingegneria genetica tout court ; argomenti che non consentono, a suo dire, di fare distinzioni tra questa o quella applicazione; ed alla fine Habermas suggerisce di smetterla di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di tutti gli esseri viventi, ed invita in termini perentorii (come già Hans Jonas) a chiudere i laboratori di biologia molecolare! Secondo Habermas bisogna rendere giuridicamente indisponibile la base stessa dell'etica di genere, che Habermas individua nella datità naturale della riproduzione sessuale (naturale). Noi possiamo continuare a pensarci come persone libere ed uguali solo se viene assicurata l'intangibilità della casualità della nascita che trova il suo suggello nel casuale mescolarsi dei geni al momento della fecondazione. Personalmente non trovo nulla di pregevole nella datità casuale della nascita (tanto da farne il valore fondante della nostra forma di vita) quando penso a coloro che, meno fortunati alla roulette genetica, nascono con difetti genetici che procurano sofferenza e morte precoce. Difetti che in parte già potrebbero essere evitati (in primis le patologie mitocondriali, grazie al dono di oociti sani tra amiche ed all'impiego della tecnica del trasferimento nucleare, quella alla base della clonazione). Vi è anche un diritto a non nascere , e già vi sono stati casi di giovani che appena divenuti maggiorenni hanno chiamato i genitori a rispondere del fatto di non aver fatto uso di tecniche di diagnosi prenatale che avrebbero potuto evitare loro di nascere portatori di tanta sofferenza. Il fatto grave è che tali posizioni trovano ascoltatori attenti tra i decisori politici del tutto digiuni delle benchè minime basi di biologia: il ritardo dell'azione educativa ed informativa, l'analfabetismo scientifico, le tragedie ambientali e sanitarie causate dalla inefficienza, le dichiarazioni sul disinvolto impiego di alcune tecniche (la clonazione umana), tutti questi fatti certamente concorrono a far prevalere nel dibattito pubblico delle problematizzazioni di tipo etico, sociale e legali delle implicazioni delle ricerche biologiche.

 

Un nuovo concetto di cittadinanza 

Nel nome di principi etici presunti di validità generale vengono dunque elaborate norme che sono il riflesso di apriori ideologici e religiosi di coloro che tali norme vanno elaborando e che pertanto si configurano come norme restrittive della libertà di decidere di sè e più in generale della libertà di ricerca. La riflessione si appiattisce su una realtà ove questioni etiche, ragionamenti politico-sociali e argomentazioni di tipo religioso appaiono all'ordine del giorno senza peraltro contribuire in modo efficace e concreto allo sviluppo di posizioni equilibrate e ponderate all'interno della società civile. L'affermazione progressiva di questa attitudine sta producendo nel nostro paese significative modificazioni all'apparato concettuale di analisi della realtà, modifiche il cui impatto sui sistemi di significati e sugli schemi di lettura delle questioni sociali, degli scambi politici, delle dinamiche produttivo-economiche e più in generale e banalmente sulla vita di tutti i giorni di tutti noi ed in sfere tanto personali è ancora da verificare ma che non potrà che rivelarsi nefasto per lo sviluppo di una società democratica basata su giustizia ed equità. Solo cittadini dotati degli strumenti concettuali per valutare criticamente le nuove frontiere del sapere scientifico possono garantire un sistema democratico, perchè capaci di incidere efficacemente e direttamente sul corpo sociale con le proprie autonome opinioni. Prerequisiti necessari per raggiungere questi scopi sono lo sviluppo di strumenti di analisi della rivoluzione operata dalle bioscienze e lo sviluppo di strumenti capaci di esplicitare al grande pubblico le opportunità offerte dalle biotecnologie: cittadini ben informati sono garanzia di un forte sostegno all'investimento di risorse nella ricerca scientifica e di autonomo formarsi di opinioni che si riflettono in democratiche decisioni di ciò che si ritiene lecito e di ciò che non si desidera venga applicato.

Pattison
Sir John Pattison

Un esempio di corretta procedura è certamente quello di recente adottato dal governo inglese con due iniziative: i) il libro bianco della genetica nel sistema sanitario nazionale; ii) UK Stem Cell Initiative , preparato da Sir John Pattison nel Dicembre 2005. Entrambi questi documenti sono stati divulgati e spiegati a tutti i cittadini così da realizzare un controllo democratico dell'elaborazione di principi e norme etiche rispettose della pluralità di valori.

Lo sforzo di tutti noi deve essere quello di far si che le opportunità offerte dalle biotecnologie siano aperte a tutti i cittadini del mondo ed a questo riguardo il nostro paese (e più in generale l'Europa) ha una grande responsabilità nel divenire portatore di istanze di giustizia ed equità sociale basate sulle bioscienze; e che deve saper esportare con gli strumenti che meglio sa impiegare e lo caratterizzano: la cultura (le varie missioni di pace non costano solo molti danari, sono anche scelte antagoniste ad altre ben più utili ed efficaci forme di intervento umanitario). L'attività scientifica è una delle poche cose di cui la nostra civiltà dovrebbe essere orgogliosa, come sostiene Salvatore Veca. Per far ciò non è più possible attardarsi in visioni nelle quali la ricerca scientifica deve fare i conti, assai più che in passato, con l'economia e la politica: un'economia che vede la ricerca con gli occhiali dell'aziendalismo, si veda la pessima riforma del CNR italiano (e si confronti con il tentavivo, fallito, di riforma del CNRS francese) ed una politica che ha smarrito ogni slancio progettuale e si è appiattita a copertura ideologica della mera logica del profitto (con la poco etica decisione del MIUR di lasciare libertà di brevetto a favore dei ricercatori che quei risultati coperti da brevetto hanno sviluppato con i danari pubblici). E' quanto mai necessario stabilire serie ed efficaci procedure di consultazione della comunità scientifica quale prerequisito necessario alla elaborazione di qualsivoglia norma deputata a regolare i rapporti tra cittadini e scienze della vita. Tali procedure sono garanzia della considerazione del dato fattuale come base della elaborazione di principi e valori etici che in tal modo possono essere massimamente condivisibili. Inoltre, la vera questione del nostro Paese è la questione scientifica: investire in ricerca è il modo più efficace per arrestare il declino del Paese e per avviare un nuovo sviluppo. S e i Ministeri della Sanità e della Ricerca non sono in grado da soli di fornire danari quanto basta, anche altri Ministeri potrebbero contribuire nel finanziamento delle ricerche sulle staminali, consci del fatto che ormai i risultati delle ricerche biomediche svolgono un ruolo centrale nelle economie delle società occidentali. Tutti i Ministeri potrebbero aiutare la ricerca, sottolineando il fatto che i valori che discendono dall'avanzamento delle conoscenze svolgono un ruolo cruciale nella ridefinizione dei concetti di democrazia, cittadinanza e coesione sociale.

Cittadini a pieno titolo saranno coloro che potranno accedere, al di là di datità naturali, etnie o censo, alle applicazioni dei nuovi saperi delle scienze biomediche.

Per tale fine è necessario sviluppare una politica ed una legislazione per una nuova cittadinanza (politiche e legislazioni ferme al concetto di cittadinanza del secolo scorso) che muovano dal fatto che ciascuno di noi sia in grado di espandere la propria capacità di comprensione delle opportunità e dei limiti intrinseci alla biologia delle cellule staminali ed alle tecniche legate al loro utilizzo. Più in generale, che muovano dal fatto che ciascuno di noi sia in grado di riformulare le categorie stesse del nostro rapporto con il mondo in una epoca in cui le applicazioni tecniche del sapere sembrano mutare gli stessi confini ed il senso profondo della vita e delle sue figure: la biopolitica del corpo e delle sue trasformazioni, la nascita e le decisioni del fine vita, il dolore ed il controllo della propria sfera privata. L'incontro con il mondo della scienza che gli appuntamenti di Genova, Bologna, Perugia, Trieste, Pavia (per citarne alcuni) promuovono aiuterà sempre più il cittadino comune a raggiungere una più diffusa conoscenza del mondo della ricerca delle cellule staminali ed una corretta percezione delle problematiche in campo, senza confondere i fatti scientifici con le fantasie, le paure, gli apriori ideologici e le irrazionalità. E ci si augura che ciò aiuterà anche i decisori politici a capire ed a sviluppare norme e regole rispettose delle attese dei cittadini: in Europa il 75% dei cittadini è favorevole alla ricerca sulle staminali embrionali, in Italia addirittura il 79%!