Intervista a Benedetto Terracini sulla recente sentenza sull'amianto

Con questa intervista a Benedetto Terracini, epidemiologo di fama mondiale, ripercorriamo alcune tappe e commentiamo la vicenda che ha portato alla condanna il 13 febbraio scorso dei vertici della Eternit per aver causato le morti e le malattie degli operai impiegati nello stabilimento di Casale Monferrato.

 

Qual è per la storia civile italiana il senso della sentenza del Tribunale di Torino del 13 febbraio scorso?

Da un punto di vista giuridico, è importante il fatto che il reato fosse “disastro” (collettivo) e non una somma di omicidi individuali. Il mondo civile italiano si è reso conto di quanto inammissibile sia il fatto che, da parte di una azienda, non si faccia nulla per proteggere i propri dipendenti quando si è consapevoli che sono a rischio. Più in generale, il processo ha portato l’opinione pubblica a percepire la dimensione che possono avere le epidemie di malattie professionali. Inoltre, sono emerse le negligenze delle istituzioni a recepire i risultati della ricerca (e la sottomissione di parte del mondo accademico nei confronti di tale negligenza). Infine, la percezione della gravità delle conseguenze che possono avere contaminazioni dell’ambiente generale da parte di attività produttive (industriali nel caso specifico, ma agricole in altre circostanze).

 

Possiamo ritenere che all’interno della giurisprudenza italiana è passato il principio per cui la salute dei lavoratori è essenziale e le conquiste scientifiche sono poste al servizio di quest’ultima? 

In un certo senso sì, ma non dimentichiamo che il DPR 303 del 1956 (sic) stabiliva l’obbligo per il datore di lavoro di proteggere i propri dipendente dai fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro e di informarli in proposito (il che sottintendeva l’obbligo da parte dei datori di lavoro di aggiornarsi tempestivamente delle conquiste scientifiche e l’importanza per i lavoratori di essere consapevoli dei progressi della scienza). I rischi da amianto erano noti e stranoti da decenni, per cui era poco pertinente al processo il “principio di precauzione”. Questo impone l’applicazione di misure di protezione per gli esposti quando i rischi esistono ma non sono misurabili. Ad esempio, nei confronti di quelle sostanze per le quali è “soltanto” dimostrato che possono produrre il cancro in animali di laboratorio.

 

Il presidente del tribunale di Torino Giuseppe Casalbore legge la sentenza

 

Rispetto ad altri processi (ad esempio quello sul petrolchimico di Porto Marghera) c’è stato un diverso approccio del Pubblico Ministero? Il p.m. Guariniello aveva impostato l’accusa sulla tesi del disastro colposo.

Sì, l’approccio è stato diverso, ma sinceramente non mi sento di spiegarne i dettagli.

 

Qual è stato il ruolo del Comitato delle vittime, con cui lei ha collaborato, nella fase di indagini e nello svolgimento del processo?

Il Comitato delle vittime ha avviato il procedimento e ha assicurato la partecipazione al processo di migliaia di lavoratori e loro congiunti come parte civile, compresa la presenza in aula a ogni udienza. Ha diffuso a Casale la consapevolezza dell’inaccettabilità che le istituzioni pubbliche (soprattutto il comune di Casale) scendessero a transazioni con gli imputati. Ha inoltre tessuto una rete di rapporti con gruppi di vittime in altre paesi (in particolare francesi, belgi e brasiliani).

 

All’estero non ci sono mai stati processi di questo genere. Una sentenza così può essere utile anche per la tutela della salute dei lavoratori esteri?

No, ma sull’esempio del processo Eternit, le cose si stanno muovendo.

 

(Intervista a cura di Jacopo De Tullio)