1. L’infinito e l’infinito matematico

In tutte le mitologie di qualsiasi civiltà, la realtà prende spunto da un iniziale caos – un infinito indistinto – che viene successivamente ordinato da divinità di varia specie che cercano di ridurre tutto ad un finito comprensibile e il più possibile ordinato [1]. L’infinito si presenta quindi come elemento negativo perché non comprensibile e non dominabile. Però, con l’evolversi delle civiltà, la religione, la speculazione filosofica e quella matematica ritornano al concetto di infinito sotto vari aspetti tratti principalmente dalla capacità dell’uomo – unico tra gli esseri viventi – a saper usare l’induzione in ogni campo.

In Matematica l’infinito è stato raggiunto non tanto dal numero suscettibile di essere aumentabile, troppo connesso inizialmente alla sua corrispondenza con la numerosità degli oggetti, e neppure dalla possibile suddivisibilità di un oggetto materiale data la supposizione di elementi ultimi indivisibili (“monadi, atomi” di una certa consistenza materiale o semplicemente spaziale) [2]. Anche nelle prime rappresentazioni geometriche di linee e di figure, il processo di suddivisione aveva un termine nel punto “senza parti” secondo l’antica concezione pitagorica ripresa da Euclide anche nella suamutata concezione razionale [3]. A nostro avviso –ma non solo nostro, come si vedrà tra poco – è stata la scoperta dell’esistenza di coppie di grandezze incommensurabili ad imporre la presenza dell’infinito anche nel finito! [4] Come osserva Maria Timpanaro Cardini, la presenza di segmenti il cui rapporto non può essere un numero razionale crea un fatto assolutamente nuovo ed imprevisto: “era l’incontro con l’infinito matematico: l’αλογος [l’irrazionale] che si levava a sconvolgere la razionale fiducia nell’αναλογον [“secondo ragione; razionale”]” [5]. “Qui abbiamo una delle più splendide prove della forza dell’intelletto umano: né fu paralizzato dall’ostacolo, né lo trascurò; ma ne trasse la spinta ad un approfondimento del problema della natura, avviandolo a soluzioni diverse secondo il diverso genio dei pensatori” [6]. Certo, si reagisce lasciando indicato il rapporto tra  grandezze incommensurabili (come, ad esempio, il rapporto tra lato e diagonale di uno stesso quadrato o quello tra circonferenza e diametro di uno stesso cerchio) anche approssimando tali rapporti (il primo, ad esempio, con le successioni dei numeri “diagonali” e “laterali”; il secondo con le famose approssimazioni di Archimede [7]). L’infinito si insinua, per dir così, dopo la scoperta delle grandezze incommensurabili in ogni espressione matematica: nella indefinita approssimabilità di valori finiti o nella loro indefinita suddivisibilità non più arrestabile.

Entrambi gli infiniti, attuale e potenziale, si presentano pertanto nella Matematica a partire dalla presenza delle grandezze incommensurabili. La consapevolezza che i matematici greci ebbero per entrambi i tipi di infinito può essere dedotta dalle analisi di Aristotele che affronta l’argomento essenzialmente nel libro III della Fisica [8]. Queste analisi sembrano provenire, come vedremo, da considerazioni di varia tendenza, avvenute nel fecondo periodo dei presocratici e in Platone. Sembrano appunto conclusioni enunciate alla fine di un lungo percorso.

Una delle difficoltà che si incontra nell’esaminare l’uso e il tipo di infinito nella Matematica greca è la circostanza che con lo stesso vocabolo (απειρον àpeiron) si indica, seguendo la composizione della parola [9], qualcosa di illimitato secondo il senso dunque di una infinità potenziale oppure, come talvolta avviene, secondo quello di una infinità in atto. Il nostro vocabolo potrebbe anche esprimere secondo autori diversi, ma anche in uno stesso autore, un significato, oppure un altro [10].