Archeoastronomia: la scienza delle stelle e delle pietre

Dal numero di Lettera matematica pristem n. 83 pubblichiamo l'articolo di Giulio Magli che ci spiega cosa sia l'Archeoastronomia.


 

1. Introduzione

Non siamo abituati a guardare le stelle. Del resto, purtroppo, è inevitabile. Solo chi vive lontano dalle città può sfuggire all’inquinamento luminoso delle luci cittadine e all’inquinamento dell’aria, fattori che impediscono di vedere la maggior parte degli astri. Un tempo, tuttavia, non era così. Nell’antichità lo studio dei cicli celesti era legato ad un complesso apparato simbolico connesso con la religione, il culto funerario e la struttura sociale e dunque anche con la gestione del potere. Gli astri entravano in modo fondamentale nello scandire le attività pratiche (quali la semina e il raccolto) ma anche le attività religiose e politiche (quali le feste e le celebrazioni annuali); come conseguenza di tutto ciò, l’osservazione del cielo è antichissima. Forse la Matematica nacque proprio per archiviare informazioni sui cicli celesti, come le fasi della Luna. In ogni caso, fin da tempi remotissimi le osservazioni ad occhio nudo del sorgere e del tramontare delle stelle brillanti vennero registrate, ad esempio a Babilonia su tavolette d’argilla e in Egitto nelle così dette liste decanali, dipinte all’interno dei sarcofagi del Medio Regno. Tuttavia, la registrazione non era il solo modo di immagazzinare informazioni di carattere astronomico. Un’altra possibilità, che venne usata sia da popoli che non avevano la lingua scritta, come ad esempio i costruttori di Stonehenge (il famoso circolo di grandi pietre che si trova presso Salisbury in Gran Bretagna), sia da popoli che invece ebbero la scrittura fin da tempi remotissimi, come gli Egizi, era di usare allineamenti astronomici.

Gli allineamenti astronomici erano un modo di incorporare le conoscenze astronomiche nell’architettura, orientando gli assi o altri elementi significativi di templi e monumenti verso il sorgere o il tramontare del sole o di stelle brillanti. In certi casi l’intero paesaggio costruito conteneva riferimenti ai cicli celesti, tanto che la pianificazione urbanistica di molte città avvenne tenendo conto di criteri di orientamento astronomico.

La giovane scienza che studia questo affascinante argomento, nata negli anni Sessanta con Gerald Hawkings e Alexander Thom, prende il nome di Archeoastronomia. Si tratta di una disciplina ormai ben consolidata la cui importanza è andata crescendo quando ci si è resi conto che fornisce una chiave di lettura spesso nuova e inaspettata di molti importanti monumenti. Tuttavia, come ogni disciplina innovativa, ha incontrato e incontra difficoltà di vario genere. In particolare è necessario tenere presente che, quando si parla di “pietre e stelle”, si ha facile presa sul grande pubblico e questo ha generato miriadi di sedicenti archeoastronomi che con questa disciplina hanno di fatto ben poco a che vedere. In ogni caso, lo studio archeoastronomico è ormai considerato indispensabile e ovvio complemento di qualunque scavo archeologico in molti contesti, ad esempio nelle Americhe, e la sua importanza è sempre più riconosciuta sia in Europa che in Egitto. Inoltre, l’Archeoastronomia è destinata a svolgere un ruolo crescente nella valorizzazione, nella fruizione e nella salvaguardia dei beni culturali e proprio a questo scopo l’Unesco World Heritage ha recentemente iniziato a considerare la possibilità di porre sotto specifica tutela i monumenti più significativi dal punto di vista archeoastronomico.


2La Piramide di Cheope e le stelle

Per mostrare quali sono le potenzialità dell’Archeoastronomia, e nello stesso tempo cercare di dare un’idea del fascino che il loro studio esercita (almeno sul sottoscritto, s’intende), vorrei parlare dei legami con le stelle di quello che probabilmente è il monumento più famoso, enigmatico e interessante dell’intera storia dell’umanità, la Piramide di Cheope. Si tratta di un monumento antichissimo e “muto”, sul quale cioè non si è conservata nessuna informazione scritta, anche se la scrittura esisteva in Egitto già da 700 anni. Lo studio dei suoi legami astronomici è dunque una delle chiavi che ci permettono di conoscere meglio la società, la cultura, la religione e le (spesso negate) conoscenze scientifiche dei suoi costruttori, conoscenze che permisero loro di incorporare l’Astronomia in una complessa e raffinata opera d’ingegneria.

Sezione della Grande Piramide: 1)Ingresso originale 2)Ingresso attuale 3)Condotto discendente 4)Camera Sotterranea 5)Pozzo 6)Camera della Regina 7)Grande Galleria 8)Condotti 9)Camera del Re


La Piramide di Cheope si trova nella Piana di Giza, nei pressi della capitale egiziana, il Cairo. Non è certo il caso di entrare qui nei complessi problemi tecnici legati a questo edificio e quindi ricorderò soltanto che si tratta di uno degli oggetti più grandi e pesanti mai costruiti dall’uomo (la base, quadrata, è larga 230 metri e l’altezza in origine sfiorava i 147 metri, più o meno come un grattacielo di quaranta piani). La piramide fu costruita seguendo standard rigidissimi. In particolare è orientata secondo i punti cardinali con una grande precisione (la deviazione è attorno ai 3’, cioè 1/20 di grado) e fu realizzata sovrapponendo 210 corsi (cioè “piani”) di grossi blocchi di pietra calcarea pesanti due-tre tonnellate l’uno, per un totale di non meno di 2.200.000 blocchi. Il monumento era rivestito di lastre di calcare bianco, che lo facevano risplendere a grande distanza. Durante la costruzione delle piramidi, gli angoli venivano tenuti sotto stretto controllo tramite la scelta di pendenze razionali: quella della Piramide di Cheope è 14/11.

La costruzione avvenne attorno al 2500 a.C. nel corso del così detto Antico Regno della storia egizia, per ordine del faraone Cheope, il cui nome però – per uno strano scherzo della storia – appare soltanto su alcune scritte tracciate dalle maestranze sulle pareti di alcune camere secondarie. Nessun’altra iscrizione od oggetto (e tanto meno la mummia) sono stati mai ritrovati nella piramide, che è probabilmente stata spogliata completamente dai ladri già nell’antichità. La piramide è quindi un monumento terribilmente muto che dà al visitatore una impressione profonda di antichità lontana e distante, difficile da sondare. Al suo interno, collegate da stretti condotti, si trovano tre camere principali. Una camera sotterranea (abitualmente ritenuta incompiuta) e due camere superiori, tradizionalmente chiamate Camera della Regina e Camera del Re. La Camera della Regina contiene solo una nicchia, nella quale probabilmente si trovava una statua di Cheope. In essa quasi certamente venne compiuto il rito detto della “Apertura della Bocca”, una cerimonia durante la quale la bocca della statua veniva toccata con uno strumento ad ascia, probabilmente in analogia con ciò che si faceva con i neonati. L’ascia aveva la forma della costellazione dell’Orsa Maggiore (che gli Egizi individuavano come una Gamba di Toro) perché, come vedremo tra un istante, la vita nell’aldilà era strettamente connessa al cielo. Nella Camera del Re si trova il sarcofago in granito rosa che deve aver contenuto la mummia del faraone. Per il resto, l’unico elemento che rompe questa monotonia è la presenza di due piccole aperture, grandi quanto un fazzoletto, una sulla parete a nord e l’altra su quella a sud, in entrambe le camere.

Le aperture costituiscono l’imbocco di due stretti condotti che, dopo un breve tratto orizzontale, puntano verso l’alto. Gettando un’occhiata all’interno, si prova una sensazione strana, come se fossero i condotti di una sorta di posta pneumatica, destinati non al passaggio (e del resto solo un criceto potrebbe avventurarvisi) ma ad una qualche altra forma di comunicazione. I condotti inferiori non sboccano all’esterno e fino a poco tempo fa non si sapeva dove finissero; i condotti superiori sboccano sulla superficie delle facce nord e sud, alla stessa quota, a quasi ottanta metri d’altezza. Non ci sono dubbi sul fatto che la realizzazione di questi condotti apparentemente semplice fu invece una complessa impresa di ingegneria: infatti bisognava non solo far sì che il peso enorme dei blocchi sovrastanti non ne provocasse il cedimento, ma anche evitare il rischio che i blocchi che li costituiscono, essendo posti su un piano inclinato, scorressero verso il basso. Dunque, senza dubbio il progettista doveva essere molto motivato per avventurarsi nella loro realizzazione. In passato, la maggior parte degli egittologi ha pensato che questi condotti furono realizzati per permettere il passaggio dell’aria nella camera e dunque la respirazione degli operai che lavoravano alla costruzione e alla rifinitura della stessa. Questa ipotesi tuttavia è ben difficilmente sostenibile per una serie infinita di motivi, ad esempio per il fatto che in realtà è sempre stato possibile ai visitatori respirare nella camera in virtù dell’aria che arriva dall’accesso principale, anche quando i condotti erano ostruiti da millenni di accumulo di detriti. Inoltre, anche volendo aerare, sarebbe stato molto più semplice realizzare un “tubo” verticale in prossimità della parete via via che la costruzione proseguiva e comunque sia era illogico costruire due condotti.

Panoramica delle due grandi piramidi di Giza dalla zona della Sfinge (cortesia di Giulio Magli)


I canali della Piramide di Cheope dunque costituiscono (o meglio costituivano) un enigma affascinante e complesso. Nel 1964 però l’astronoma Virginia Trimble e l’egittologo Alexander Badawy ebbero l’idea che potessero essere in realtà dei condotti simbolici, allineati astronomicamente e costruiti per dei motivi legati al culto funerario. Tenendo conto della precessione, cioè della lenta rotazione dell’asse terrestre attorno alla normale all’eclittica, i due studiosi simularono come appariva il cielo, a Giza, nell’età delle piramidi. Ben presto si resero conto che il condotto nord della Camera del Re puntava verso la culminazione della stella polare dell’epoca, la stella Alpha Draconis (in virtù della precessione dell’asse terrestre attorno alla normale all’eclittica, il polo nord celeste si sposta rispetto alle stelle ed è solo nel nostro periodo che si trova vicino alla stella che chiamiamo “polare”). Il condotto sud puntava sulla culminazione (cioè sul punto più alto raggiunto all’orizzonte sud) della Cintura di Orione, cioè delle tre brillanti stelle che si vedono splendere “al centro” di questa costellazione. Trimble e Badawy si resero anche conto che proprio queste due regioni del cielo erano fondamentali nella concezione egizia dell’aldilà, così come è testimoniato nei testi detti Testi delle Piramidi. Da questi testi si de duce infatti che il faraone aveva un destino “celeste”: avrebbe navigato nel cielo sulla barca di Ra, il dio sole, e sarebbe diventato una stella compagna di Orione (Osiride) e Sirio (Iside). Inoltre, un posto privilegiato per il re defunto era a disposizione fra le così dette stelle imperiture, le stelle così vicine al polo nord celeste da non tramontare mai. Prima del 1964 c’era quindi un affascinante problema da risolvere, quello di capire il motivo per cui furono realizzati i condotti della Camera del Re; dal 1964 c’è la soluzione, si tratta di condotti stellari orientati verso le due regioni del cielo citate dai Testi delle Piramidi. L’Archeoastronomia ha dunque permesso di risolvere un problema architettonico importante e ci ha inoltre fornito informazioni sul mondo in cui queste persone vivevano, sul loro pensiero religioso e sulle loro conoscenze astronomiche. Negli ultimi anni nuove indagini effettuate con dei piccoli robot sui condotti inferiori, quelli che partono dalla Camera della Regina, hanno mostrato che anche questi condotti si addentrano in diagonale nel cuore del monumento fino a fermarsi di fronte a piccole porte dotate di maniglie. Sono probabilmente porte simboliche che il re doveva attraversare, come prescritto nei Testi delle Piramidi. Anche questi condotti, infatti, puntano su precisi obiettivi celesti: sono le stelle dell’Orsa Maggiore per il condotto nord e Sirio per il condotto sud.


3Giza e il Sole

La disposizione delle piramidi di Cheope e dei suoi successori Chephren e Micerino nella Piana di Giza ha generato e continua e generare una serie infinita di interpretazioni esoteriche che hanno ben poco a che vedere con la realtà dei fatti e con la mentalità degli antichi architetti egizi. I loro messaggi erano infatti espliciti, anche se spesso simbolici, e molti di questi messaggi si possono leggere ancora oggi tranquillamente. Basta saper guardare. Il modo migliore per capire è, ancora una volta, partire dall’Astronomia. Fu infatti il Sole a governare il progetto della Piana.

Giza, solstizio d'estate. Il sole tramonta al centro tra le due grandi piramidi, ricreando il geroglifico Akhet, il nome del complesso di Cheope (cortesia di Giulio Magli)


Per iniziare, osserviamo che non ci sono dubbi sul fatto che i monumenti non sono disposti a caso ma secondo una regola a cui i vari costruttori si sono inspirati nel corso del tempo. Si tratta tuttavia di una regola, almeno a priori, incomprensibile. Prima di tutto, infatti, la Piramide di Cheope è molto vicina al ciglio roccioso della Piana e questo ha comportato numerose difficoltà nel corso della costruzione della strada rialzata che sale ad essa dalla Piana del Nilo. Inoltre, costruendo la sua piramide dove si trova, Cheope lasciò libero il posto migliore, che è chiaramente quello dove sarebbe sorta la seconda piramide. La Piramide di Chephren è infatti posta nel punto più alto all’orizzonte ovest, tanto che l’edificio sembra più alto di quello di Cheope anche se non lo è; in aggiunta, la Piana si sviluppa dolcemente alla sua base, facilitando la costruzione. Malgrado questo, probabilmente il luogo migliore in assoluto sarebbe stato alcune decine di metri più a est. Infatti, per costruire la seconda piramide esattamente dove la si volle costruire, fu necessario tagliare la roccia viva in profondità e per molte centinaia di metri in corrispondenza del lato ovest. Questo taglio è ancora oggi visibile e costituisce una delle più incomprensibili e raffinate (anche se poco appariscenti ad un occhio non attento) opere di ingegneria mai realizzate nella Piana. Infine, la posizione della terza piramide è a sua volta difficilmente comprensibile: si trova infatti molto lontana da tutto e da tutti, quasi sperduta nel deserto, senza alcun apparente motivo geologico o logistico.

Di fatto, il complesso costituito dalle due grandi piramidi mostra segni abbastanza chiari di essere stato concepito in modo unitario, secondo un progetto a cui il costruttore della terza piramide si è poi uniformato. Il luogo migliore per rendersi conto della esistenza di questi indizi è la zona dei due grandi templi che si trovano alla base della strada rialzata della seconda piramide. Quello più a sud, ben conservato e costruito con giganteschi blocchi di pietra pesanti quanto locomotive diesel, è il Tempio in Valle di Chephren, dove veniva perpetuato il culto del faraone defunto. L’altro – a fianco – è il Tempio della Sfinge, posto di fronte alla gigantesca statua il cui volto umano è scolpito in una roccia affiorante, mentre il corpo di leone fu ricavato scavando un grande fossato. È da questa zona che è possibile osservare, una volta all’anno tutti gli anni dal 2500 a.C. circa, un fenomeno emozionante e spettacolare. Al solstizio d’estate, il Sole tramonta nel punto di mezzo tra le due grandi piramidi. Questa immagine forma una replica gigantesca del geroglifico  - Akhet composto dal disco solare che tramonta – o sorge – tra due montagne. Questo geroglifico significava “orizzonte”, un orizzonte però simbolico, legato alla rinascita e alla vita oltre la morte e in quanto tale associato alla Grande Piramide che era chiamata “Orizzonte di Cheope”.

Legami con il ciclo solare sono presenti anche nel progetto delle due strade rialzate delle grandi piramidi, che puntano verso il tramonto del Sole nei due punti “a metà strada” tra equinozi e solstizi. È interessante notare che, poiché la velocità di spostamento del Sole all’orizzonte non è costante, questi due punti non corrispondono a una divisione in due metà uguali dei periodi tra equinozi e solstizi; si tratta dunque più di una divisione geometrica del cammino del Sole nel corso dell’anno che di una divisione di tipo calendariale.

Fu in definitiva la volontà di realizzare un complesso sistema di allineamenti astronomici uno dei fattori determinanti per il posizionamento delle due grandi piramidi di Giza, forse concepito inizialmente tutto da Cheope e poi portato a termine dal secondo figlio regnante Chephren (il diretto successore di Cheope fu Diedefra, che regnò per pochi anni) che si fece seppellire nella seconda piramide. Esiste però un altro fattore, altrettanto importante, di tipo topografico.

Pianta della Piana di Giza: 1-2-3 Piramidi principali, 4-5-6 Templi funerari, 7-8-9 Strade rialzate, 10 Zona del Tempio in Valle della prima piramide, 11-12 Templi in Valle delle altre due piramidi, 13 Sfinge, 14 Tempio della Sfinge


È noto da molto tempo (di fatto già dal XIX secolo) che le piramidi di Giza hanno una forte connessione geometrico-simbolica con Eliopoli, la città sulla riva est del Nilo che era – già a partire dalle prima dinastie – un importantissimo centro di culto solare, sorta di “umbilicus mundi” del Paese. Questo legame è dovuto al fatto che le due grandi piramidi definiscono una “diagonale”, cioè una linea ideale che collega i loro angoli sud-orientali (sulla quale si allinea poi con una certa precisione anche l’angolo sud-orientale della terza piramide). Se si prolunga questa “diagonale di Giza”, essa punta proprio nella direzione del tempio di Eliopoli (il tempio è oggi perduto ma la sua posizione è indicata da un grande obelisco del Medio Regno rimasto in sede). Di fatto, come ha dimostrato l’egittologo David Jeffreys, tutte le piramidi dei faraoni che hanno dichiarato una “affinità con il Sole” sono state costruite in zone della riva ovest del Nilo che erano inter-visibili con il Tempio del Sole. L’intero paesaggio della Piana dell’antica capitale Menfi fu quindi pensato per essere “attraversato” da linee di vista che connettevano i monumenti con Eliopoli. In particolare, in conseguenza dell’allineamento, quando ci si avvicina alla zona in cui sorgeva Eliopoli le due grandi piramidi di Giza sembrano “contrarsi” l’una sull’altra finché alla fine le loro immagini si fondono in una specie di “miraggio” e solo la Grande Piramide rimane visibile. Chiaramente Micerino, sotto il cui regno iniziò la costruzione della terza piramide, non avrebbe potuto permettersi di distruggere questo messaggio lasciato dai suoi avi e fu dunque costretto a scegliere la posizione, molto defilata, che permettesse alla sua piramide di “accodarsi” lungo la diagonale. Se poi avesse anche in mente che in questo modo le tre piramidi sulla piana avrebbero avuto una certa somiglianza con le tre stelle di Orione nel cielo, come vuole una famosa e controversa teoria, probabilmente non lo sapremo mai.

Quello che è certo è che ancora oggi – e sono passati 4500 anni – chiunque guardi l’orizzonte occidentale dalla vallata del Cairo non può avere dubbi su chi ne è il proprietario: l’orizzonte appartiene a Cheope.


4Conclusioni e prospettive

L’Archeoastronomia è in definitiva – se usata con le dovute cautele – uno strumento formidabile per capire la mentalità e le idee dei costruttori di tanti monumenti del passato e, di conseguenza, le conoscenze e il mondo simbolico e religioso delle corrispondenti civiltà. In molti casi le nostre conoscenze sono solo all’inizio. Ad esempio, molto rimane ancora da esplorare sui legami tra l’Astronomia e il mondo simbolico e religioso degli Etruschi, dei popoli italici e dei Romani. Purtroppo, però, il fascino esercitato da questa disciplina sul grande pubblico provoca una proliferazione di “ricerche alternative” che hanno ben poco a che fare con la scienza. Un esempio molto attuale di come l’Astronomia del passato venga fraintesa, per non dire di peggio, è la celeberrima teoria che vuole che i Maya abbiano previsto la fine del mondo per il dicembre 2012.

I Maya furono una delle grandi civiltà pre-colombiane, fiorita tra il terzo e il nono secolo d.C. e finita repentinamente, per motivi ancor oggi poco chiari, molti secoli prima dell’arrivo degli europei. Il mondo e la vita dei Maya erano inestricabilmente legati sia alla natura – erano infatti agricoltori formidabili, dotati di raffinate tecniche di terrazzamento e irrigazione – che alla sua “controparte” sovrannaturale, rappresentata da un insieme di divinità estremamente complesso. L’Astronomia giocava un ruolo fondamentale sia ai fini pratici che a quelli religioso-simbolici e di conseguenza i Maya furono astronomi formidabili.

Chicén Itzá, equinozio di primavera. Il sole disegna il corpo del serpente piumato, la cui testa è scolpita alla base della scalinata


Purtroppo, pochissimi testi maya si sono salvati ma l’Archeoastronomia ci permette di far “parlare” i loro monumenti. L’esempio più famoso è senza dubbio la piramide detta El Castillo che si trova a Chicén Itzá, nello Yucatan. Questo monumento funziona come un calendario di pietra, segnalando gli equinozi con la materializzazione di un complesso gioco di luci e ombre che “disegna” su di esso il corpo di un gigantesco serpente, la divinità a cui il tempio è dedicato. Come testimonia il “Castillo”, l’attenzione per il calendario era senza dubbio enorme: il calendario maya era infatti basato sull’incastro armonico di cicli differenti e molto complessi. Semplificando, si può dire che così come le nostre date sono espresse con tre numeri (giorno, mese, anno) le date maya venivano espresse con gruppi di cinque numeri: (kin, unial, tun, katun, baktun) corrispondenti a giorni, mesi di 20 giorni, anni di 360 giorni, periodi di 20 anni e infine i baktun, periodi di 400 anni. La nostra convenzione non è, chiaramente, né più bella né più brutta di quella maya. Esiste però una fondamentale differenza: per noi i giorni sono in numero finito (al massimo 31), i mesi sono in numero finito (12), ma gli anni crescono indefinitamente. Per i Maya, tutte le cifre che componevano una data erano in numero finito, compresi i baktun che andavano da 1 a 13. Dunque, il calendario maya aveva un numero finito di date possibili: la misura del tempo aveva natura ricorsiva (preferisco “ricorsivo” a “ciclico”, perché ovviamente è la data che si ripeteva). Ogni periodo durava 13 baktun (circa 5125 anni solari). È possibile tramite riscontri incrociati ancorare la cronologia maya con la nostra e risulta che la data di partenza del periodo che i Maya stavano vivendo è il 13 agosto 3114 a.C. e quella conclusiva cade il 21 dicembre 2012.

Questo fatto ha dato purtroppo adito alle più balzane teorie, in particolare a quella che i Maya abbiano previsto la fine del mondo, o comunque gravi cataclismi naturali, per il giorno in cui il loro calendario sarebbe “finito”. In realtà vaghi accenni di questo tipo compaiono solo in manoscritti vergati nel XVII e XVIII secolo, dunque molto dopo la conquista. La confusione è aumentata dal fatto che i “catastrofisti” spesso confondono i Maya con le popolazioni successive. Ad esempio, quando si parla di 2012, è facile incontrare l’immagine della così detta “pietra del sole”: una scultura a forma di disco con incisioni calendariali che presenta immagini abbastanza minacciose (comunque di difficile interpretazione) riferite alla fine di cicli astronomici. Tuttavia, questo monolite è stato scolpito dagli Aztechi, quasi 600 anni dopo la fine della civiltà Maya. È di fatto probabile che la fine del ciclo dei baktun non sarebbe stata vissuta dai Maya in modo molto diverso da come noi abbiamo vissuto il capodanno del 2000.

Nessun messaggio catastrofico, dunque, ci giunge dai Maya per la fine del 2012. Se possiamo trarre un messaggio dagli astronomi e dagli architetti del passato, questo non è certo di tipo esoterico ma piuttosto esplicito, ed è un invito a rispettarne le conoscenze e, perché no, anche l’amore per la natura attorno e per il cielo di sopra.