Un errore fecondo: il premio di re Oscar e gli esordi della teoria del Caos

Dal numero monografico di Lettera matematica pristem dedicato alla figura di Henri Poincaré (n. 84-85), vi presentiamo l'articolo di Jean-Christophe  Yoccoz che racconta la vicenda legata alla vittoria da parte del matematico francese del Premio di re Oscar e della scoperta delle orbite omocline.

 

(...) riguardo alla seconda parte della supposizione, bisogna ricordare che la differenza più insignificante fra i fatti dei due casi potrebbe provocare errori importantissimi, facendo divergere profondamente le due serie di avvenimenti; proprio come nell’aritmetica un errore che di per sé non avrebbe importanza produce alla fine, a forza di moltiplicarsi nei vari passaggi del calcolo, un risultato enormemente diverso da quello giusto”

Edgar Allan Poe, Il mistero di Marie Roget (1843), trad. it. di F. Pivano, in Tutti i racconti e le poesie, Sansoni, Firenze 1974, p.905

 

La citazione tratta dal racconto di Poe è probabilmente una delle prime descrizioni di quello che in tempi recenti è stato battezzato con il nome di effetto farfalla: l’idea, cioè, che, a causa della natura instabile delle evoluzioni dinamiche associate al sistema meteorologico, persino il battito d’ali di una farfalla potrebbe dare origine, sul lungo periodo, a tempeste o a eventi catastrofici. Le parole di Poe pronunciate da C. Auguste Dupin, tuttavia, fanno riferimento alla logica di un’indagine di polizia e non certo alle conseguenze meteorologiche associate a questo fenomeno.

Ritratto di Edgar Allan Poe

 

L’eroe della nostra storia è Henri Poincaré, che nasce a Nancy undici anni dopo la pubblicazione di The Mistery of Marie Roget. Primo al concorso d’ammissione all’École Polytechnique, discute nel 1879 la tesi di dottorato “Mémoire sur les propriétés des fonctions définies par les équations différentielles”, nella quale è già preannunciata una delle direzioni in cui si svilupperà la sua ricerca. Dopo un breve periodo a Caen, nel 1881 Poincaré ritorna a Parigi e a partire dal 1886 è titolare della cattedra di “Physique mathématique et Calcul des probabilité” alla Sorbona.

Poincaré è il più grande matematico del suo tempo e senza dubbio uno dei quattro o cinque più importanti di tutti i tempi. Le sue ricerche abbracciano anche la Fisica: insieme con Lorentz ed Einstein, è uno degli scopritori della teoria della relatività ristretta. I suoi scritti di Filosofia della scienza, d’altra parte, esercitano ancora oggi una notevole influenza. In ambito strettamente matematico, la sua opera è colossale, spaziando dalla Geometria all’Analisi e alla Topologia. Poincaré è anche il fondatore della teoria dei sistemi dinamici ed è proprio a questa parte del suo lavoro che si ricollega l’episodio di cui ci occuperemo.

Stoccolma è di certo una delle più belle città del mondo, specialmente in primavera, quando i profumi della natura che rifiorisce e del mare si spandono nell’aria creando un’atmosfera unica. A pochi chilometri dal centro, a Djursholm, tra splendide dimore che si affacciano su un braccio di mare, è situato l’Istituto Mittag-Leffler, ancor oggi uno dei punti di riferimento per la ricerca matematica in Europa. Questo edificio, che ospita una magnifica biblioteca, era un secolo fa la residenza di Gösta Mittag-Leffler (1846-1927), il secondo protagonista della nostra storia.

Mittag-Leffler, specialista di Analisi complessa, fu un matematico di prim’ordine, in competizione con il chimico Alfred Nobel per il primato nel mondo scientifico svedese della sua epoca. Dopo aver ottenuto il dottorato a Uppsala, si recò a Parigi, Berlino e Göttingen, dove ebbe modo di collaborare con Charles Hermite (1822-1901), Karl Weierstrass (1815-1897) ed Ernst Schering (1833-1897). Nel 1882 fondò gli Acta Mathematica – ancor oggi una delle tre o quattro più prestigiose riviste matematiche a livello internazionale – e riuscì a convincere Oscar II (1829-1907), re di Svezia e Norvegia, a sostenere finanziariamente la pubblicazione.

Henri Poincaré con Gösta Mittag-Leffler nel 1908

 

Oscar II, che in gioventù era stato anche lui studente a Uppsala, è un generoso mecenate dell’attività scientifica: non stupisce dunque che accolga di buon grado la proposta avanzata da Mittag-Leffler di indire un premio prestigioso in occasione delle celebrazioni per il suo sessantesimo genetliaco. La giuria è composta, oltre che dallo stesso Mittag-Leffler, da Charles Hermite e da Karl Weierstrass, due matematici della generazione precedente la cui indiscussa autorevolezza nell’ambito delle rispettive scuole – francese e tedesca – assicura all’iniziativa una vasta risonanza.

L’annuncio ufficiale viene diffuso intorno alla metà del 1885: la data entro la quale i candidati devono inviare il proprio contributo è fissata al 1º giugno 1888. Alla Memoria dichiarata vincitrice spetterà, oltre all’onore della pubblicazione sugli Acta Mathematica, la ricompensa di una medaglia d’oro accompagnata dalla somma di 2500 corone (per valutare l’entità del premio, si tenga presente che lo stipendio annuo di Mittag-Leffler ammonta a 7000 corone). I candidati possono scegliere se affrontare uno dei quattro problemi prescelti dalla giuria oppure trattare un argomento di loro scelta. Delle dodici Memorie ricevute, sei si avvalgono di questa seconda opzione, mentre cinque si misurano con il primo dei temi proposti: il problema degli n corpi in Meccanica celeste.

Hermite ha contribuito alla fondazione degli Acta Mathematica. Poincaré, che è stato suo studente, ha pubblicato un articolo su ciascuno dei primi cinque numeri della rivista; conosce inoltre Mittag-Leffler e non gli famistero della sua intenzione di partecipare al concorso. Così, nonostante l’anonimato che copre i lavori inviati dai candidati, Mittag-Leffler non ha la minima difficoltà a identificare nel giovane collega francese l’autore della Memoria intitolata “Sur le problème des trois corps et les équations de la dynamique”, che spicca nettamente su tutte le altre e si guadagna in breve tempo il plauso unanime della giuria. L’esito del concorso è annunciato il 20 gennaio 1889: una menzione speciale è riservata al saggio presentato da Paul Appell, che verte sullo sviluppo in serie trigonometriche delle funzioni abeliane.

La Memoria di Poincaré dovrebbe essere pubblicata sugli Acta Mathematica nell’ottobre del 1889. Ma gli avvenimenti prendono una piega inaspettata.

Il giovane matematico svedese a cui Mittag-Leffler ha affidato l’incarico di leggere con scrupolosa attenzione i lavori presentati si chiama Lars Phragmén (1863-1937). A seguito delle osservazioni di quest’ultimo, Poincaré aggiunge alla sua Memoria – originariamente lunga 160 pagine – altre 90 pagine di note supplementari. Tuttavia, intorno al luglio del 1889, Mittag-Leffler gli fa pervenire un’ulteriore richiesta di chiarimento da parte di Phragmén. Poincaré si rende conto che le obiezioni che gli vengono mosse sono fondate e, nel rivedere l’insieme complessivo delle argomentazioni, scopre un grave errore in un’altra parte del lavoro. All’inizio di dicembre si trova costretto a comunicare a Mittag-Leffler che la correzione dell’errore rende necessario apportare modifiche sostanziali al testo.

Temendo forse per la propria reputazione scientifica – non così solida come quella di Weierstrass, Hermite o dello stesso Poincaré – Mittag-Leffler recupera con discrezione le poche copie della Memoria originale che aveva distribuito a una ristretta cerchia di matematici e astronomi. Ottiene che Poincaré paghi di tasca propria le nuove spese di stampa, che ammontano a 3500 corone (ben 1000 in più rispetto all’ammontare del premio). La nuova versione, lunga 270 pagine, è finalmente pronta nell’aprile del 1890 e viene pubblicata sugli Acta Mathematica nel novembre di quello stesso anno.

Queste sono, a grandi linee, le circostanze storiche (per ulteriori dettagli rimando al libro di June Barrow-Green [1] che mi è stato di grande aiuto). Passiamo ora agli aspetti scientifici dell’episodio: cercherò di spiegare l’errore di Poincaré, di illustrare la scoperta cui ha condotto la correzione di questo errore e di descrivere le ripercussioni di questa scoperta sulla Matematica di oggi.

È anzitutto necessario sottolineare che, anche se si espungono dalla Memoria di Poincaré tutte le parti che hanno a che fare con l’errore e la sua correzione, ciò che rimane è di straordinaria ricchezza dal punto di vista matematico. L’autore stesso avrà modo di sviluppare queste idee nei tre tomi delle Méthodes nouvelles de la mécanique céleste, pubblicati tra il 1892 e il 1899, che daranno l’avvio a una rifondazione radicale di questo ambito disciplinare. Nella prima parte della Memoria troviamo, tra l’altro, quello che oggi chiamiamo teorema di ricorrenza di Poincaré, un risultato che segna la nascita della teoria ergodica, un ramo collaterale della teoria dei sistemi dinamici. Insomma, errore o meno, il premio fu più che meritato. Ma non è di questo che intendo parlare.

Un sistema dinamico non è altro che uno spazio delle fasi sul quale è definita un’equazione di evoluzione: i punti dello spazio delle fasi rappresentano gli stati possibili del sistema in esame, mentre l’equazione di evoluzione prescrive come cambiano gli stati nel breve periodo. Lo scopo della teoria è comprendere l’evoluzione del sistema sul lungo periodo.

Busta in cui Poincaré inviò la sua Memoria al Grand Prix del 1880

 

Nella maggior parte dei casi, uno stato è determinato da un numero finito di parametri e l’equazione di evoluzione è un’equazione differenziale che descrive la variazione infinitesimale di questi parametri. Poincaré, fin dai suoi primi lavori sull’argomento, introduce un fondamentale cambiamento di prospettiva: mentre i suoi predecessori si limitavano a trattare le equazioni differenziali soltanto come equazioni e cercavano di rappresentarne le soluzioni attraverso formule via via più sofisticate, egli si rende conto che la stragrande maggioranza delle equazioni differenziali non ammette alcuna formula risolutiva ragionevole. Inizia così a trattare le equazioni differenziali come oggetti geometrici – una rivoluzione concettuale che apre orizzonti del tutto nuovi. Proprio nello spirito di questa impostazione puramente geometrica ho scelto di non servirmi di formule nelle pagine che seguono. La Meccanica celeste studia il movimento dei corpi celesti – stelle, pianeti, satelliti naturali o artificiali, asteroidi, ecc. – sotto l’azione dell’interazione gravitazionale classica, trascurando ogni altro fenomeno fisico. Com’è noto, la legge di gravitazione universale di Newton stabilisce che la mutua forza di attrazione di due corpi è proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

Nel problema degli n corpi, i corpi celesti sono trattati come masse puntiformi. Lo stato del sistema è dunque determinato dalle tre coordinate di posizione e dalle tre coordinate di velocità di ciascun corpo: lo spazio delle fasi ha perciò dimensione 6n. L’equazione di evoluzione è l’equazione differenziale del secondo ordine che esprime la legge di gravitazione universale.

Nel caso in cui vi siano soltanto due corpi, non è affatto difficile risolvere queste equazioni. Le loro soluzioni furono infatti scoperte da Keplero sulla base delle osservazioni astronomiche più di un secolo prima che Newton ne fornisse un’espressione analitica. La traiettoria di ciascun corpo è un’ellisse e il centro di massa del sistema occupa uno dei due fuochi di queste ellissi omotetiche: l’area del settore di ellisse descritto, durante il moto, dal raggio vettore che unisce questo fuoco a ciascun corpo è spazzata a velocità costante. (In verità, sarebbe possibile avere, invece di un’ellisse, anche un’iperbole o una parabola, ma allora i corpi si allontanerebbero all’infinito).

La questione presa in considerazione da Poincaré nella sua Memoria è il cosiddetto problema ristretto dei tre corpi, vale a dire il caso più semplice dopo quello dei due corpi. Nel problema ristretto si suppone in primo luogo che uno dei tre corpi – indichiamolo con m – abbia massa nulla. Esso, pertanto, non esercita alcuna influenza sul moto degli altri due corpi – indichiamoli con m1 e m2 – ma ne subisce l’attrazione gravitazionale. In secondo luogo si suppone che i corpi m1 e m2, il cui moto è ovviamente in accordo con le leggi di Keplero, percorrano a una velocità uniforme due cerchi concentrici (il cui centro è il centro di gravità dei due corpi). Si vuole descrivere la traiettoria del corpo m, limitandosi a considerare le traiettorie contenute nello stesso piano dei corpi m1 e m2. Si suppone infine che il rapporto tra le masse di m1 e m2 sia piccolo: denotiamo con μ questo parametro.

Per determinare lo stato del sistema è necessario conoscere sia le due coordinate di posizione, sia le due coordinate di velocità del corpo m nel piano in cui avviene il moto: lo spazio delle fasi ha dunque dimensione 4. Per affrontare il problema nel modo più semplice, conviene collocarsi in un sistema di riferimento mobile, che accompagni la rotazione uniforme dei corpi m1 e m2. In questo sistema di riferimento rotante i due corpi m1 e m2 risultano in quiete, il che, se da una parte semplifica la scrittura delle forze gravitazionali, dall’altra porta alla comparsa di un termine addizionale, corrispondente alla forza di Coriolis. Ciò nonostante, il sistema di equazioni differenziali cui si perviene ha la forma generale, detto hamiltoniana, della maggior parte dei sistemi di origine meccanica: conseguenza fondamentale di questa proprietà è la conservazione rispetto al tempo di una certa funzione – l’hamiltoniana, appunto – che è univocamente determinata dallo stato del sistema. Ciò significa che le soluzioni, che sono curve nello spazio delle fasi parametrizzate dal tempo, giacciono sulle ipersuperfici di livello dell’hamiltoniana: queste ipersuperfici hanno dimensione 3 e corrispondono ai diversi valori ammissibili dell’hamiltoniana (si osservi che negli esempi tipici della Meccanica l’hamiltoniana altro non è che l’energia totale del sistema).

Se fissiamo il valore della hamiltoniana, otteniamo dunque un’ipersuperficie tridimensionale che contiene una famiglia di curve parametrizzate dal tempo. Su questa ipersuperficie, Poincaré definisce una superficie Σ (di dimensione 2) trasversa alla famiglia di curve. Le equazioni di evoluzione danno luogo a una trasformazione T della superficie Σ in se stessa: dato un punto x appartenente a Σ, si considera la curva soluzione passante per x all’istante 0 e si indica con T(x) il primo punto in cui la curva soluzione interseca nuovamente Σ. Il problema originario diventa allora il problema di studiare le iterazioni successive di questa trasformazione T della superficie Σ: siamo passati da una dinamica a tempo continuo in 3 dimensioni a una dinamica a tempo discreto in 2 dimensioni.

Quando il parametro μ – cioè il rapporto tra le masse dei corpi m1 e m2 – è nullo, è facile descrivere la dinamica in maniera completa. Il corpo m1 rimane immobile nell’origine e il corpo m, non subendo l’attrazione di m2, descrive un’ellisse (o un’iperbole o una parabola, ma è soltanto il caso dell’ellisse quello che qui ci interessa), che ha un fuoco nell’origine. Nel sistema di riferimento rotante, questa ellisse è soggetta a un moto di rotazione apparente che corrisponde alla rotazione uniforme intorno all’origine di m2. Si ha pertanto la sovrapposizione di due moti periodici: la rotazione dell’asse maggiore dell’ellisse (nel sistema rotante) a una velocità angolare uniforme e il moto del corpo m lungo l’ellisse, in conformità con la seconda legge di Keplero (le aree sono spazzate a velocità costante). I periodi dei due moti sono indipendenti e generalmente incommensurabili: in questo caso il moto, nel suo complesso, non è periodico. Si dice che il sistema è completamente integrabile e che la dinamica è quasiperiodica.

Per quanto riguarda la dinamica della trasformazione T sulla superficie Σ, questa si esprime nel modo seguente. La superficie Σ risulta foliata da una famiglia di curve chiuse, ciascuna delle quali è invariante rispetto alla trasformazione T; inoltre, dato che ciascuna di queste curve può essere parametrizzata da una coordinata angolare, la trasformazione T si rappresenta, punto per punto, come una rotazione rispetto a tale coordinata. L’angolo della rotazione dipende dalla curva considerata e corrisponde al rapporto tra i periodi dei due movimenti periodici nella dinamica a tempo continuo. Quando questo angolo, calcolato in numero di giri, è un numero razionale, allora ogni punto della curva è periodico rispetto all’azione di T. Al contrario, quando questo angolo è irrazionale – il che si verifica per la maggior parte delle curve – le immagini successive di un punto ottenute iterando la trasformazione T costituiscono un insieme denso sulla curva.

Che cosa succede quando il parametro μ non è nullo ma soltanto molto piccolo? In quale misura ritroviamo alcuni degli aspetti della situazione descritta per μ=0? Poincaré analizza anzitutto il caso delle orbite periodiche. Consideriamo, per fissare le idee, il caso di una curva sulla superficie Σ, invariante rispetto alla trasformazione T quando μ=0, per la quale l’angolo della rotazione indotta da T sia uguale a zero. Tutti i punti di tale curva sono dunque punti fissi di T quando μ=0. Se invece μ è piccolo, ma non nullo, Poincaré dimostra che solo un numero finito di punti (molto vicini alla curva considerata) sono ancora punti fissi di T e corrispondono quindi a orbite periodiche nella dinamica a tempo continuo (nel sistema di riferimento rotante).

Può essere utile ricorrere a un’analogia con un sistema meccanico più semplice: il pendolo. Consideriamo dunque il moto, in un piano verticale, di una sbarretta rigida vincolata a uno dei suoi estremi. In assenza di forza peso (il che corrisponde al caso μ=0 per il problema ristretto dei tre corpi), si ha un moto di rotazione uniforme; in particolare, tutte le posizioni sono posizioni di equilibrio. Al contrario, in presenza di forza peso, ci sono solo due posizioni di equilibrio. La posizione in cui la sbarretta è verticale con l’estremo libero in basso è di equilibrio stabile: una perturbazione di questo equilibrio produce piccole oscillazioni. La posizione in cui la sbarretta è verticale con l’estremo libero in alto è invece di equilibrio instabile: se, in un istante infinitamente lontano nel passato, la sbarretta si allontana da questo equilibrio con velocità infinitamente piccola, essa compirà un giro completo per ritornare all’equilibrio in un istante infinitamente lontano nel futuro con velocità infinitamente piccola. Per descrivere questo singolare comportamento di un sistema dinamico Poincaré conia l’espressione doppiamente asintotico: oggi si usa invece l’aggettivo omoclino.

Torniamo ai punti fissi della trasformazione T sulla superficie Σ. Poincaré dimostra che metà di questi sono stabili e metà instabili, quantomeno a livello infinitesimale. Il passaggio dalla stabilità infinitesimale alla stabilità locale sarà realizzato soltanto intorno al 1960 nel contesto della teoria KAM (da Kolmogorov-Arnol’d-Moser) – ma non di questo intendiamo parlare. Poincaré passa quindi a studiare in maggior dettaglio i punti fissi instabili. Per ciascuno di questi, Poincaré dimostra l’esistenza di una particolare curva contenuta in Σ e passante per il punto fisso, detta stabile o positivamente asintotica, che è caratterizzata dalla seguente proprietà: iterando la trasformazione T a partire da un qualsiasi punto di questa curva, la successione di punti successivi che così si ottiene converge al punto fisso. Esiste, analogamente, anche una curva, detta instabile o negativamente asintotica, caratterizzata dalla proprietà duale: iterando la trasformazione inversa di T, cioè T-1, a partire da un qualsiasi punto di questa curva, la successione di punti che così si ottiene converge al punto fisso. Ciascuna di queste due curve è invariante rispetto all’azione della trasformazione T. Nell’esempio del pendolo pesante, ogni traiettoria omoclina associata all’equilibrio instabile costituisce tanto la curva stabile quanto quella instabile (vi sono due traiettorie omocline a seconda che il verso di rotazione sia orario o antiorario).

La domanda cruciale, a questo punto, è la seguente: le curve positivamente e negativamente asintotiche dei punti fissi instabili della trasformazione T coincidono sempre fra loro, come accade per il pendolo pesante? Nel caso del pendolo pesante possiamo avvalerci, oltre che di un calcolo diretto, di un’argomentazione di portata più generale: dato che si ha a che fare con una dinamica a tempo continuo in uno spazio delle fasi bidimensionale, il teorema di unicità delle soluzioni delle equazioni differenziali assicura che le due curve asintotiche sono necessariamente coincidenti qualora esse si intersechino (in un punto diverso da quello fisso al quale sono associate). Poincaré cerca di determinare la posizione delle curve positivamente e negativamente asintotiche tramite degli sviluppi in serie di potenze in funzione del parametro μ (o più precisamente, della radice quadrata di μ).Nella versione originaria della memoria, dimostra che le due curve coincidono al primo ordine in √μ e afferma anche che gli sviluppi nelle potenze successive di √μ sono convergenti. Nella versione definitiva riesce a provare che le due curve coincidono a tutti gli ordini in √μ: se gli sviluppi fossero convergenti, avrebbe potuto così concludere che le curve erano effettivamente uguali. Così non è. La convergenza, che Poincaré riteneva fosse conseguenza di principi generali validi in situazioni simili, viene a mancare: lui stesso dimostrerà questo risultato nella versione definitiva!

Possiamo immaginare che Poincaré, nella stesura della versione originaria della Memoria, avesse verificato che le due curve coincidevano a tutti gli ordini in √μ, arrivando così alla conclusione – convinto com’era della convergenza degli sviluppi in serie – che esse fossero uguali. Per evitare il laborioso calcolo di questo sviluppo in tutte le potenze di √μ, cercò allora una scorciatoia: eseguì solo il (facile) calcolò al primo ordine in √μ e lo completò servendosi di un’argomentazione di carattere topologico. Questa è fondata sul fatto che la trasformazione T ha la proprietà di conservare le aree (una proprietà ereditata dalla natura hamiltoniana del sistema originario). Il ragionamento di Poincaré dimostra, in effetti, che le due curve devono intersecarsi (in un punto diverso dal punto fisso instabile). In una dinamica a tempo continuo, come nell’esempio del pendolo pesante, ciò implica che le due curve siano coincidenti. Ma le cose vanno diversamente in una dinamica a tempo discreto, come nel caso della trasformazione T.

Riassumendo, le argomentazioni attraverso cui Poincaré pensava inizialmente di poter concludere che le curve positivamente e negativamente asintotiche coincidessero, permettono soltanto di provare che queste curve si intersecano in punti differenti dai punti fissi ai quali esse sono associate. In generale, in questi punti di intersezione, le rette tangenti alle due curve sono distinte: le traiettorie corrispondenti sono dette omocline trasverse.

Quando si tenta (come ha provato a fare lo stesso Poincaré) di disegnare, nella loro estensione globale, curve positivamente e negativamente asintotiche dotate della proprietà di avere intersezioni omocline trasverse, ci si accorge ben presto che il fatto che queste curve sono invarianti rispetto alla trasformazione T produce necessariamente una Geometria di spaventosa complessità. Sebbene Poincaré avesse piena consapevolezza di questa complessità, saranno tuttavia i suoi successori George D. Birkhoff (1884-1944) e Stephen Smale (nato nel 1930) a studiarla per primi.

Uno degli strumenti concettuali di fondamentale importanza, introdotto da Aleksandr Michailovicˇ Ljapunov (1857-1918), è la misura del tasso di divergenza (o convergenza) esponenziale delle traiettorie a livello infinitesimale. Nel caso del pendolo pesante, la divergenza esponenziale è interamente concentrata nel punto di equilibrio instabile. Quando si hanno punti di intersezione omoclini trasversi, essa si manifesta invece per tutte le traiettorie corrispondenti a questi punti di intersezione. È proprio la presenza di una tale divergenza esponenziale che caratterizza le dinamiche di tipo caotico che sono alla base del cosiddetto effetto farfalla.

Stephen Smale

 

Il ferro di cavallo di Smale è un modello semplificato della trasformazione T in cui si è in grado di descrivere completamente il sistema di intersezioni omocline trasverse associate a un punto fisso instabile. Una semplice codifica geometrica permette di associare a ogni punto di intersezione delle curve positivamente e negativamente asintotiche una successione di 0 e 1 (parametrizzata dagli interi relativi e con un numero solo finito di 1). Inversamente, a ogni successione di 0 e 1 che abbia queste proprietà corrisponde un punto di intersezione. La successione associata a T(x) – immagine di un punto di intersezione x – è semplicemente la successione associata a x shiftata di un posto verso sinistra. Quando si considera soltanto la parte della successione parametrizzata dagli interi maggiori o uguali a zero (il che equivale a dimenticare il passato concentrandosi unicamente sull’evoluzione futura del sistema), la trasformazione da x a T(x) è equivalente a moltiplicare per 2 il numero di cui la serie troncata è l’espansione binaria: ecco che ritroviamo la citazione di Poe...

Nonostante tutti i progressi compiuti nel corso degli ultimi cinquant’anni nel campo dell’analisi dei sistemi dinamici caotici (iperbolici è il termine usato in genere dai matematici), sarebbe sbagliato pensare che il problema ristretto dei tre corpi sia ormai compreso in maniera completa. Una questione centrale nella teoria dei sistemi dinamici, che rimane a tutt’oggi senza risposta, è la seguente: scegliamo a caso un punto della superficie Σ e osserviamo la sua orbita attraverso le iterazioni successive della trasformazione T; c’è una probabilità non nulla (nella scelta del punto iniziale) che si osservi lungo questa orbita una divergenza esponenziale delle orbite a livello infinitesimale? La teoria KAM, cui abbiamo accennato sopra, ci garantisce, al contrario, che c’è una probabilità non nulla di non osservare una divergenza esponenziale perché la dinamica dell’orbita avrà carattere quasiperiodico...

 

(Traduzione dal francese a cura di Jacopo De Tullio)

Bibliografia

[1] Barrow Green J., Poincaré and the Three-Body Problem (1997), “History of mathematics”, vol. 11, American Mathematical Society – London Mathematical Society, Providence (RI) 1977.