7. Etica, Filosofia e Metafilosofia

Se, fino agli anni Ottanta, i lavori di Putnam si sono maggiormente concentrati prima sulla Matematica, poi sulla Filosofia della scienza e della mente, a partire dagli anni Novanta la sua ricerca s’indirizza in particolare verso le scienze umane, verso la nostra “immagine morale del mondo”, verso l’etica, il pragmatismo, la filosofia ebraica, verso questioni religiose (i credi e i loro linguaggi), verso tematiche filosofiche e sociali, dell’economia, della politica, verso l’estetica, verso la metafilosofia, chiedendosi, fra le altre cose, come la filosofia possa rendere migliore il mondo e gli esseri umani, e sottolineando anche che lo stato dell’odierna filosofia necessita un rinnovamento che la rivitalizzi scremandola da preoccupazioni anguste ed esagerate. Per Putnam, sviluppare delle “immagini morali del mondo” significa far confluire in un profondo intreccio elementi metafisici ed etica, del resto “la metafisica senza etica è cieca” (Putnam 1978, p. 92). D’altronde, come voleva Kant, tutti i problemi filosofici in qualche modo contengono una radice etica o valoriale. La scienza stessa, in quanto prassi umana, è coinvolta e influenzata dai valori.

Un tema che in questo periodo riprende con più pienezza – tema comunque ricorrente nella sua opera a partire dal 1978 (si veda Putnam 1978) – è quello della dicotomia fatto/valore (si veda Putnam 1981a, cap. 6 e 9; 1990, parte II; 2002), che egli critica, contrariamente alle posizioni ortodosse della filosofia analitica. Sotto l’influenza di Charles S. Peirce e William James, e del pragmatismo in generale, Putnam sostiene che questa è una dicotomia fuorviante, intrattabile, in quanto fatti e valori sono inestricabilmente intrecciati: “Valutazione e descrizione sono intrecciate e interdipendenti” (Putnam 2002, p. 7). Non ha perciò senso cercare di dividere il mondo in una parte che rappresenta il nostro contributo e in una che è indipendente da noi, e farlo significherebbe cadere in quella che Putnam chiama “fallacia della divisione”.

Putnam non nega, però, che la distinzione fra fatti e valori in molti contesti possa essere utile, ma nega una distinzione di principio, essenziale, poiché tutte le descrizioni dei fatti riguardanti il mondo possiedono elementi etici, e “tutte le nostre nozioni sono in definitiva cariche di valore (value-laden)” (Putnam 1994a, p. 272), così come, di converso, i nostri giudizi di valore (etici ed estetici) – valori che sono onnipresenti e si estendono gli uni negli altri e dovunque nella nostra esperienza e nei nostri pensieri – contengono elementi fattuali e quindi sono dipendenti dai fatti. Egli inoltre crede, contrariamente ai sostenitori della suddetta dicotomia, che, da una parte, alcuni giudizi di valore possano essere tanto oggettivi quanto lo sono i giudizi umani, e dall’altra, che, persino nella scienza, lo stabilire i fatti è un’operazione dipendente da valori, negoziabili ma presenti, quali eleganza e semplicità. Il rifiuto della dicotomia fatto/valore ammonta, per Putnam, all’accettazione della tesi, molto forte e controversa, che non ci sia una differenza metodologica fra scienza ed etica.

Le linee guida dell’approccio putnamiano sono l’anti-scientismo e il pluralismo. La scienza, egli crede, non costituisce una prospettiva privilegiata per la descrizione del mondo, e non è in grado di ridurre i valori, o la normatività in generale, a qualcosa di puramente fattuale (si veda, ad esempio, la critica che egli solleva, in Renewing Philosophy (1992, cap. 5), a Bernard Williams e alla sua idea dell’esistenza di una concezione assoluta del mondo conoscibile attraverso la scienza). Anche la pretesa scientista di svalutare il senso comune si dimostra fallimentare. Al centro c’è sempre l’uomo – “la questione filosofica ultima […] è la posizione dell’uomo nel mondo” (Putnam 1994a, p. 522) –, e la stessa filosofia è un progetto profondamente umano che investe tutte le nostre attività, non solo quelle conoscitive, o quelle astratte, ma anche quelle pratiche, quelle delle nostre sensibilità. Ma la filosofia non ci condurrà mai a risposte conclusive (Putnam è convinto, con Wittgenstein, che i problemi filosofici sono in un certo senso irrisolvibili) ma solo a “direzioni di risposta”, poiché sono i nostri stessi interrogativi a non aver mai fine, del resto la filosofia è un progetto dedito alla ricerca di un punto di vista inevitabilmente umano sul mondo: “Al suo meglio, la riflessione filosofica può offrirci uno sguardo inaspettatamente chiaro e onesto sulla nostra situazione, non uno ‘sguardo da nessun luogo’, ma uno sguardo attraverso gli occhi di questo o quell’essere umano saggio, pieno di difetti, profondamente individuale” (Putnam 1992, p. 178).