A misura d'uomo: Leonardo e l'uomo vitruviano

Se esiste un'opera di Leonardo da Vinci che è finita per diventare uno dei simboli del nostro tempo, questa è sicuramente l'Uomo vitruviano disegnato nei primi anni dell'ultimo decennio del XV secolo[1]. Anzi, si potrebbe dire che questa data, più o meno coincidente con quella della scoperta dell'America, si addice perfettamente all'intima natura di un'immagine che in qualche modo evoca aspettative future e che è appunto nata al volgere di un'epoca, quando sarebbe iniziata l'età moderna. Ora, di questo cambiamento epocale, strano a dirsi per il fatto che - in fondo - si tratta di un disegno grande poco più di venti per trenta centimetri (esattamente 34,3 x 24,5), l'opera porta il segno indelebile nelle scelte artistiche  volute da Leonardo nell'ambito del suo concepimento e della sua realizzazione [2].
Tutto questo traspare, anzi è ben sintetizzato dall'immagine, tanto che se - mi si passi l'ardito confronto letterario - il De Hominis dignitate di Pico della Mirandola (pubblicato nel 1496) è stato a ragione considerato come il "manifesto" del Rinascimento; si potrebbe in qualche modo dire che il disegno di Leonardo ne rappresenta la trasposizione figurata, tanto è grande il suo potere evocativo [3]. Un potere ampiamente colto fin da quando Mario Ceroli lo aveva tradotto nel legno grezzo per farne il logo televisivo della trasmissione L'approdo; giù giù fino a oggi che è divenuto " rovescio" della versione italiana della moneta da un euro. La sovrapposizione di arti orientati in modo diverso e simmetrico, infatti, non solo conferisce alla figura una dinamicità inaspettata, ma visualizza l'idea, tipicamente rinascimentale (ma ancora oggi segretamente coltivata e sostenuta da un luciferino orgoglio, nonostante ampi proclami) che l'uomo sia la "misura di tutte le cose". Quindi misura dello spazio e del tempo. Per questo, per come è concepito, l'uomo leonardesco ha in sé un'inalienabile aspirazione al futuro che non soltanto lo rende modernissimo, ma lo farà sempre attuale.

 UN SIMBOLO ASTROLOGICO

L'idea di rappresentare l'uomo nudo con le braccia aperto, chiuso all'interno di un cerchio, non fu un'invenzione del genio vinciano. Sono i codici medievali studiati da Fritz Saxl a tramandare l'immagine dell'"homo" rappresentato nudo con le braccia aperte, inscritto all'interno di un quadrato o di un cerchio e circondato dai simboli che rappresentano i venti o gli elementi dell'universo [4]. Vuole essere, questa, l'illustrazione delle corrispondenze fra microcosmo e macrocosmo che talora finiscono per colorarsi di precise implicazioni astrologiche come quelle splendidamente miniate nelle Très riches heures del duca di Berry dove ad ognuno dei segni zodiacali corrisponde una parte del corpo [5].

Miniatura dal Liber divinorum operum di Ildegarda di Bingen (XII secolo), conservato nella biblioteca statale di Lucca

Miniatura dalla Très riches heures du duc de Berry dei fratelli de Limbourg (XIV secolo) conservate al Musée Condé di Chantilly

 

Tuttavia, fra gli esempi che ci sono pervenuti, non si può fare a meno di ricordare il notissimo manoscritto di Lucca del Liber divinorum operum miniato per illustrare le visioni di sant'Ildegarda, la mistica tedesca nata nel 1098 e vissuta nel monastero di Bingen, lungo le rive del Reno [6]. Anche qui troviamo corrispondenze astrali fra l'uomo-microcosmo e l'universo contenuto dalle figure di Cristo e di Dio Padre. Ildegarda, infatti, segna con dei raggi stilizzati l'influenza del sole sulla testa e della luna sui piedi rifacendosi alla dottrina tardoantica che teorizzava l'influenza dei pianeti sull'uomo. Le sfere dell'universo sono poi tutte rappresentate: dal cielo azzurro percorso dalle nubi fino al firmamento, alle stelle fisse, alle acque cosmiche su su fino al cerchio di fuoco che cinge l'intero cosmo [7]. A produrre il movimento delle sfere sono poi i venti rappresentati in aspetto ferino, secondo una concezione caldaica raccolta da Plinio. Quel che interessa notare qui, però, è il fatto che Ildegarda non si limita a indicare genericamente una corrispondenza fra macro e microcosmo, sia pure affidata a efficaci illustrazioni. La mistica tedesca, infatti, individua nell'identità del rapporto proporzionale il dato oggettivo che giustifica la stretta relazione fra universo e uomo. Spiega Ildegarda: "Con le braccia e le mani tese ai lati del torace, l'altezza della figura umana coincide con la sua larghezza, proprio come l'altezza del firmamento è uguale alla sua larghezza". [8].

Ora è indubbio che il disegno di Leonardo sia in qualche modo "figlio" di questo lungo percorso culturale; nel senso che proprio in quanto artista, scienziato e ricercatore, nell'accezione più ampia e più completa del termine, non poteva non essere attratto dalla problematica che riguarda le relazioni dell'uomo e del cosmo, dove il primo deve essere considerato come "lo spettacolo più meraviglioso in questa scena del mondo", secondo quanto ricordava Pico della Mirandola nel De Hominis dignitate [9].

 MISURARE IL CORPO

La scelta operata da Leonardo è formalmente e concettualmente del tutto diversa. Il disegno porta sicuramente in sé l'eco delle precedenti riflessioni sul rapporto fra macro e microcosmo, ma l'intento principe del genio vinciano è quello di sintetizzare visivamente un'immagine antropometrica utile al riperimento di tutte quelle misure che permettano all'artista di realizzare con perizia e senza errore una qualsiasi figura umana. Per questo Leonardo individua nel testo di Vitruvio la sua fonte primaria e scrive, al disopra del disegno: "Vitruvio architetto mette nella sua opera d'architettura che lle misure dell'omo sono dalla natura disstribuite in questo modo " [10]. Di seguito una serie di relazioni antropometriche in buona parte verificabili sul disegno in questione, sfruttando la scala di riferimento, in "diti" e palmi che l'artista ha tracciato in calce alla tavola [11].Così, se è vero che un palmo è formato da quattro "diti", secondo una misura che è comune anche all'antico Egitto, è pur vero che sei palmi coprono un cubito, ovverosia, la distanza dalla punta delle dita alla piegatura del gomito; allo stesso modo, è vero che quattro cubiti costituiscono l'altezza totale della figura (fig. 1).

Fig. 1                                                                                                 Fig. 2

Leonardo si è addirittura premurato di segnare diligentemente i vari punti di riferimento in modo che sia tutto più facilmente verificabile. Se, infatti, avremo la bontà di aprire il compasso per la distanza di un palmo, non avremo difficoltà a constatare che questa rientrerà sei volte nella misura di un cubito dell'arto superiore sinistro della figura, giacché il destro è meno preciso. Questa medesima distanza, poi, dal basso verso l'alto, corrisponderà a tutti quei segmenti corporei che Leonardo ha segnato con una linea leggera, di volta in volta, all'altezza del ginocchio, del pube e del petto. Non per nulla, poco più avanti, nella sua lunga didascalia, Leonardo precisa: " Dalle tette al di sopra del capo fia la quarta parte dell'omo". Il che corrisponde alla "maggiore largheza delle spalli", pure diligentemente segnate dall'artista (fig. 2).

L'indagine antropometrica di Leonardo continua facendosi sempre più approfondita. Così Leonardo spiega che la distanza "da esso gomito al termine della isspalla fia la ottava parte di esso omo". Una misura che coincide con quella della testa, giacché scrive:" dal di sotto del mento alla somità del capo è l'ottavo dell'alteza de l'uomo" (fig. 3).

Dopodiché continua e conclude: "Tutta la mano fia la decima parte dell'omo [...]Il piè fia la settima parte dell'omo. Dal disotto del piè al disotto del ginochio fia la quarta parte dell'omo. Dal disotto del ginochio al nasscimento del membro fia la quarta parte dell'omo" [12].

Ora, proprio quest'ultima indicazione, che pare del tutto marginale, ha invece un valore antropometrico tutt'altro che secondario dal momento che denuncia implicitamente la conoscenza da parte di Leonardo del fatto che, nella figura stante, il centro del corpo coincide con la prominenza del pube. Infatti, dai piedi al pube la distanza è identica a quella che intercorre fra la sommità del capo e il pube stesso.

Non solo, ma la somma di queste due misure, pari all'altezza totale, coincide con la distanza che, a braccia aperte, separa la punta di ciascun dito medio (fig. 4). In questo modo, l'uomo che assuma questa posizione, è inscrivibile in un quadrato.

NEL QUADRATO E NEL CERCHIO

E' questo il celebre "homo ad quadratum" che Vitruvio ricorda nel terzo libro del De architectura, la cui realtà geometrica viene da Leonardo sintetizzata con una semplice frase ." tanto apre l'omo ne' le braccia, quanto è lla sua alteza" [13].

Ma la genialità del disegno di Leonardo risiede anche nell'essere riuscito a sintetizzare in un'unica immagine quelle due figure antropometriche che Vitruvio tratta separatamente : l'"homo ad quadratum" e l'"homo ad circulum". Quest'ultima figura è da realizzarsi, secondo il De architectura, ponendo un uomo supino su una superficie e facendo in modo di tracciare un cerchio con un compasso puntato in corrispondenza dell'ombelico.

Il risultato dovrebbe essere che la circonferenza sia tangente alle estremità delle mani e dei piedi dell'uomo. Leonardo, invece, spiega come un uomo stante possa trasformarsi in "homo ad circulum", offrendo così implicita giustificazione alla sua tavola antropometrica. Scrive infatti il genio vinciano: "se ttu apri tanto le gambe che ttu cali da capo 1/14 di tua alteza, e apri e alza le bracia che colle lunghe dita tu tochi la linia della sommità del capo, sappi che'l cientro delle stremità delle aperte membra fia il bellico, e llo spazio che ssi truova infra lle gambe fia triangolo equilatero" [14]. Ora, osservando l'immagine disegnata da Leonardo non sarà difficile constatare che le braccia divaricate dell'"homo ad circulum" sono tangenti al lato del quadrato che inscrive l'altra figura e che pertanto sono sulla medesima linea del capo.

Non solo, ma aprendo il compasso in modo che le due punte coincidano con la distanza fra i margini interni dei piedi divaricati, si avrà la sorpresa di constatare che questa misura coincide con quella che intercorre fra il pube e la base dei due arti inferiori, dando origine a un triangolo equilatero (fig. 5).

Resta il problema della diminuzione di un quattordicesimo dell'altezza totale, apparentemente accantonato da Leonardo nel disegno perché le teste delle due figure idealmente sovrapposte dell'"homo ad quadratum" e dell'"homo ad circulum" coincidono.

Tuttavia, se avremo la bontà di riportare con il compasso la distanza che separa la base del quadrato dall'alluce del piede destro della figura con le gambe divaricate, avremo la sorpresa di constatare che essa rientra quattordici volte nel lato verticale del quadrato (fig. 6).

IL CENTRO DELL'UOMO

Naturalmente, infine, l'ombelico coincide con il centro della circonferenza.

Questo, però, non vuol dire che il mezzo del corpo sia l'ombelico, secondo quanto in genere si credeva, perché solo a certe condizioni (quelle indagate da Leonardo e da lui rappresentate), l'ombelico finiva per sovrapporsi a un cerchio ideale costruito intorno alla figura umana (fig. 7).

Leonardo sapeva infatti benissimo che la metà anatomica del corpo umano corrispondeva al pube, tanto che afferma:" il membro virile nasscie nel mezo dell'omo" [15]. Per rendersi conto della profonda differenza d'impostazione e di profondità d'indagine fra Leonardo e presunti studi successivi, basterà confrontare il disegno fin qui esaminato con certe incisioni che illustrano le opere di Agrippa von Nettesheim, dove anche per la figura umana inscritta nel quadrato si considera l'ombelico come centro anatomico. Per tutti questi motivi il disegno di Leonardo deve considerarsi come la prima tavola antropometrica corretta che rivoluziona tanto l'impostazione classica quanto quella medievale nella rappresentazione del corpo umano. Per il modo con cui è realizzato, tuttavia, il disegno di Leonardo è sicuramente qualche cosa di più: è l'aspirazione a dimostrare visivamente quale "grande miracolo [...] è l'uomo!", secondo l'esclamazione di Ermete Trismegisto riportata da Pico della Mirandola [16].

NOTE

[1] La datazione del foglio è incerta: Heydenreich (I disegni di Leonardo da Vinci nella Galleria dell'Accademia di Venezia, Firenze 1949, t. XVII) e Popham (The drawing of Leonardo da Vinci, Londra, 1963, n. 215) lo riferiscono agli anni fra il 1485 e il 1490, mentre il Valentiner (Leonardo as Verrocchio's Coworker, in "Art Bulletin", XV, 1930, p. 64), sulla base delle affinità stilistiche con Verrocchio, evidenti soprattutto nella testa, lo data al 1478. La datazione agli anni novanta del XV secolo, si deve, invece, a Carlo Pedretti (Leonardo architetto, Milano , 1978, p. 159) che pone il disegno in relazione con le ricerche leonardesche sugli edifici a pianta centrale. Certo è che il preciso riferimento a Vitruvio, citato da Leonardo nella lunga scritta esplicativa che accompagna l'opera, fornisce una precisa indicazione sugli interessi di Leonardo in questo momento.

[2] Per una disamina della problematica relativa alla teoria delle proporzioni del corpo umano come aspetto emblematico di un'età artistica, si veda l'insuperato E. Panofsky, Die entwicklung der Proportionslehre als Abbild der Stilentwicklung, in "Monatshelfe für Kunstwissenschaft", XIV, 1921, pp. 188 - 219, tr. It., La storia della teoria delle proporzioni del corpo umano come riflesso della storia degli stili, in E. Panofsky, Il significato nelle arti visive, Torino 1995, pp. 59-106.

[3] L'affermazione relativa al De hominis dignitate è di Eugenio Garin (Opere, 1, Firenze 1942, p. 23), mentre il paragone fra l'opera mirandoliana e quella leonardesca fu già avanzata da Fritz Saxl (Macrocosm and Microcosm in Medieval Pictures, conferenza tenuta in tedesco presso la Religionwissenschaftliche Gesellschaft di Amburgo dell'inverno del 1927-28 e pubblicata in inglese in Lectures a cura di G. Bing, Londra 1957, pp. 58-72, tr. It. Macrocosmo e microcosmo nelle illustrazioni medievali, in F. Saxl, La fede negli astri. Dall'antichità al Rinascimento, a cura di S. Settis, Torino 1985, pp. 47- 62), sebbene con modalità diverse.

[4] F. Saxl, op.cit. pp. 51-56.

[5] Idem, p. 57. Si veda pure: M. Bussagli, Il nudo nell'arte, Firenze 1998, p. 36

[6] Su Ildegarda di Bingen: R. Pernoud, Storia e visioni di Sant’Ildegarda, Casale Monferrato 1996

[7] F. Saxl, op. cit. p.52. Si  veda pure: M. Bussagli, s.v. Astri in Enciclopedia dell'Arte Medievale, II, Roma 1991, pp. 665-670.

[8] Sul rapporto fra i venti e i pianeti: W. Kroll, Plinius und die Chalder, in "Hermes", LXV, 1930, pp. 1-13. Si veda pure: M. Bussagli, Gli angeli e i venti. Considerazioni sul simbolismo delle ali angeliche, in "Arte Medievale", 1991, II, s. V, 2, p. 109. Il testo di Ildegarda è citato in F. Saxl, op. cit., p. 52.

[9] G. Pico della Mirandola, La dignità dell'uomo, a cura di F. S. Pignagnoli, Bologna 1970, p. 71.

[10] Il testo della lunga didascalia di Leonardo è integralmente riportato in : Leonardo. Disegni di Leonardo e della sua cerchia alle Gallerie dell'Accademia, catalogo della mostra, a cura di L. Cogliati Arano, Milano 1980, p. 32, scheda n. 8.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem.

[16] G. Pico della Mirandola, ed. cit., p. 71. Sulla problematica della teoria delle proporzioni si veda pure: M. Bussagli, Anatomia artistica, Firenze 1996, pp. 6-7 e 30-31.